Il XX secolo è stato caratterizzato da fenomeni di urbanizzazione spinta e incontrollata che hanno causato il degrado, se non addirittura la scomparsa, di quella che era la componente vegetale della maggior parte delle aree a verde preesistenti nelle città o del tessuto agricolo - paesaggistico proprio dell’immediato contorno peri-urbano, portando alla costruzione di vere e proprie compact cities (Jim 2004), contraddistinte da un’ininterrotta superficie costruita e cementificata e dalla ridotta presenza di verde urbano. Questi concetti, però, non sono nuovi nel nostro Paese, sempre pronto a guardare in casa d’altri, meno pronto nel mettere a frutto i suggerimenti dei propri studiosi Infatti, già nel 1975, Barbieri sosteneva che il verde è una delle maggiori invenzioni dell'urbanistica moderna, con ciò sfatando uno dei tanti luoghi comuni diffusi dagli speculatori nella parte meno preparata dell'opinione pubblica, secondo cui le città del nostro tempo sarebbero "ineluttabilmente" condannate alla congestione, al soffocante gigantismo, al caos. Al contrario emerge chiaramente l’enorme divario che separa l’Italia dagli altri paesi cosiddetti “sviluppati”, e le nostre città da quelle straniere (soprattutto inglesi, francesi, tedesche e scandinave), nelle quali è evidente come lo sforzo delle società coscienti dei problemi del nostro tempo sia tutto teso a rendere sempre migliore la vita urbana, reintroducendo quel contatto con la natura che le sconvolgenti trasformazioni cui esse sono state sottoposte da oltre un secolo rischiavano di eliminare. Tali esempi, così come alcuni di recente realizzazione in Cina e Malesia, dovrebbero essere assunti a modello di quella che dovrà essere la città del futuro: sostenibile, intelligente, inclusiva, sicura, viva, vitale; categorie ispirate alle linee guida proposte dal documento europeo Europa 2020. Una strategia per una crescita che veda la realizzazione di progetti realizzati in contesti socioeconomico e culturali anche molto diversi tra loro, che si caratterizzeranno per l’essere costruzioni aperte e condivise, intrinsecamente connesse al paesaggio e al territorio circostante. Di conseguenza, nei programmi urbanistici delle maggiori città straniere, il verde viene accuratamente proporzionato e distribuito in base a norme precise, messe a punto da studi di igienisti, sociologi e urbanisti, insieme a ecologi, agronomi e forestali: non si tratta di creare “giardini” isolati, ma di realizzare una maglia di spazi che penetri profondamente nell’abitato, in modo da servire il maggior numero di cittadini e consentire le più svariate attività creative. Quello che, invece, accade è una crescita rutilante dei grandi agglomerati urbani: una porzione sempre maggiore della popolazione si sta spostando nelle grandi città del pianeta. Internet non ha svuotato, come qualcuno aveva previsto di senso le città, anzi. Le tecnologie digitali hanno invaso le strade e quartieri arricchendoli di nuovi servizi e creando un nuovo modo di vivere i centri abitati. Tuttavia, la recente crisi economica sta comportando per tutte le città un ripensamento della pianificazione urbanistica e una difficile riflessione strategica sullo sviluppo (Benanti, 2011). Le città europee sono, infatti, soggette a continui cambiamenti, e nessuna area urbana sarà immune dalle forze che li muovono. Infatti, come il XXI secolo progredirà, è probabile che il ritmo del cambiamento sarà anche accelerato. Proprio a causa dei fenomeni sopra menzionati l’ambiente urbano non si presenta quasi mai omogeneo ma è, in genere, costituito da diverse tipologie di microambienti più o meno favorevoli alla vita vegetale che possono essere così classificate (Boselli 1989, Noè 1996): 1. Parchi urbani e luoghi di ricreazione: questi ambienti non presentano microclimi sfavorevoli alla vita delle piante, seppure possano manifestare fenomeni di compattazione del suolo, erosione ed eutrofizzazione delle acque, specie se sottoposti ad elevata frequentazione; 2. Quartieri residenziali densamente costruiti, caratterizzati da riscaldamento dell’aria e presenza di inquinanti nel suolo e nell’acqua; 3. Zone di traffico di autoveicoli, caratterizzate da forte riscaldamento dell’aria, bassa umidità relativa, alta presenza di polveri e possibile presenza di contaminanti come i metalli pesanti (es. Pb, Cd, Zn), compattamento e occlusione del suolo, olio e sali per eventi accidentali;

Alberi e Ambiente urbano / Francesco Ferrini. - STAMPA. - (2021), pp. 139-212.

Alberi e Ambiente urbano

Francesco Ferrini
Writing – Review & Editing
2021

Abstract

Il XX secolo è stato caratterizzato da fenomeni di urbanizzazione spinta e incontrollata che hanno causato il degrado, se non addirittura la scomparsa, di quella che era la componente vegetale della maggior parte delle aree a verde preesistenti nelle città o del tessuto agricolo - paesaggistico proprio dell’immediato contorno peri-urbano, portando alla costruzione di vere e proprie compact cities (Jim 2004), contraddistinte da un’ininterrotta superficie costruita e cementificata e dalla ridotta presenza di verde urbano. Questi concetti, però, non sono nuovi nel nostro Paese, sempre pronto a guardare in casa d’altri, meno pronto nel mettere a frutto i suggerimenti dei propri studiosi Infatti, già nel 1975, Barbieri sosteneva che il verde è una delle maggiori invenzioni dell'urbanistica moderna, con ciò sfatando uno dei tanti luoghi comuni diffusi dagli speculatori nella parte meno preparata dell'opinione pubblica, secondo cui le città del nostro tempo sarebbero "ineluttabilmente" condannate alla congestione, al soffocante gigantismo, al caos. Al contrario emerge chiaramente l’enorme divario che separa l’Italia dagli altri paesi cosiddetti “sviluppati”, e le nostre città da quelle straniere (soprattutto inglesi, francesi, tedesche e scandinave), nelle quali è evidente come lo sforzo delle società coscienti dei problemi del nostro tempo sia tutto teso a rendere sempre migliore la vita urbana, reintroducendo quel contatto con la natura che le sconvolgenti trasformazioni cui esse sono state sottoposte da oltre un secolo rischiavano di eliminare. Tali esempi, così come alcuni di recente realizzazione in Cina e Malesia, dovrebbero essere assunti a modello di quella che dovrà essere la città del futuro: sostenibile, intelligente, inclusiva, sicura, viva, vitale; categorie ispirate alle linee guida proposte dal documento europeo Europa 2020. Una strategia per una crescita che veda la realizzazione di progetti realizzati in contesti socioeconomico e culturali anche molto diversi tra loro, che si caratterizzeranno per l’essere costruzioni aperte e condivise, intrinsecamente connesse al paesaggio e al territorio circostante. Di conseguenza, nei programmi urbanistici delle maggiori città straniere, il verde viene accuratamente proporzionato e distribuito in base a norme precise, messe a punto da studi di igienisti, sociologi e urbanisti, insieme a ecologi, agronomi e forestali: non si tratta di creare “giardini” isolati, ma di realizzare una maglia di spazi che penetri profondamente nell’abitato, in modo da servire il maggior numero di cittadini e consentire le più svariate attività creative. Quello che, invece, accade è una crescita rutilante dei grandi agglomerati urbani: una porzione sempre maggiore della popolazione si sta spostando nelle grandi città del pianeta. Internet non ha svuotato, come qualcuno aveva previsto di senso le città, anzi. Le tecnologie digitali hanno invaso le strade e quartieri arricchendoli di nuovi servizi e creando un nuovo modo di vivere i centri abitati. Tuttavia, la recente crisi economica sta comportando per tutte le città un ripensamento della pianificazione urbanistica e una difficile riflessione strategica sullo sviluppo (Benanti, 2011). Le città europee sono, infatti, soggette a continui cambiamenti, e nessuna area urbana sarà immune dalle forze che li muovono. Infatti, come il XXI secolo progredirà, è probabile che il ritmo del cambiamento sarà anche accelerato. Proprio a causa dei fenomeni sopra menzionati l’ambiente urbano non si presenta quasi mai omogeneo ma è, in genere, costituito da diverse tipologie di microambienti più o meno favorevoli alla vita vegetale che possono essere così classificate (Boselli 1989, Noè 1996): 1. Parchi urbani e luoghi di ricreazione: questi ambienti non presentano microclimi sfavorevoli alla vita delle piante, seppure possano manifestare fenomeni di compattazione del suolo, erosione ed eutrofizzazione delle acque, specie se sottoposti ad elevata frequentazione; 2. Quartieri residenziali densamente costruiti, caratterizzati da riscaldamento dell’aria e presenza di inquinanti nel suolo e nell’acqua; 3. Zone di traffico di autoveicoli, caratterizzate da forte riscaldamento dell’aria, bassa umidità relativa, alta presenza di polveri e possibile presenza di contaminanti come i metalli pesanti (es. Pb, Cd, Zn), compattamento e occlusione del suolo, olio e sali per eventi accidentali;
2021
978-88-33851-49-5
Verde Città
139
212
Francesco Ferrini
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