Il lavoro ai tempi dei reality Nel giugno 2013, Milano e Roma sono state invase da migliaia di persone. Corpi ordinatamente disposti in fila indiana: non per entrare allo stadio e assistere a una partita di calcio o a un concerto; né per partecipare a uno dei cortei politico-sindacali che quasi ogni settimana sfilano nelle due metropoli, e nemmeno per accaparrarsi elettrodomestici o hardware a basso costo. I membri di quella massa statica – come l'avrebbe definita Elias Canetti – hanno atteso pazientemente il proprio turno, prima di essere sottoposti a una lunga serie di prove attitudinali, comportamentali e caratteriali, finalizzate a vivisezionare i loro profili. Come il più tradizionale dei riti di passaggio, quella prima prova rappresentava una soglia esistenziale, al di là della quale avrebbe potuto iniziare una nuova vita: diventare uno/a dei quattordici concorrenti del programma televisivo The Apprentice. Uomini e donne, di età compresa fra i venti e i quarant'anni, bussano alle porte di uno dei massimi esponenti del capitalismo italiano, il “boss'” Flavio Briatore. Nessuna delle critiche al programma ideato da Donald Trump si è soffermata a sufficienza sulla promessa di felicità che questo reality può offrire a una generazione di precari; una prospettiva che mobilita i sogni e le aspirazioni di chi è alle prese con la disoccupazione o, nel migliore dei casi, con un lavoro che – per ruolo, mansioni e/o stipendio – non soddisfa appieno. Una promessa che consente di mettere in luce alcune delle tendenze oggi attive nel mondo del lavoro e il loro nesso con la felicità delle giovani generazioni di italiani1. Accanto alla proletarizzazione crescente del lavoro intellettuale, oggi si assiste infatti a una dilagante “managerizzazione del proletariato” giovanile italiano. Prendere sul serio un reality come The Apprentice consente di apprezzare le finzioni messe in scena nel mercato del lavoro in Italia, dove gli appelli alla mobilità, alla flessibilità e alla polivalenza tipici del cosiddetto “nuovo spirito del capitalismo” convivono con un mondo imprenditoriale in larga parte ancora fondato su vincoli familistici.
Il lavoro rende felici? La ricerca della felicità ai tempi della crisi / Leonard Mazzone. - STAMPA. - (2016), pp. 93-102.
Il lavoro rende felici? La ricerca della felicità ai tempi della crisi
Leonard Mazzone
2016
Abstract
Il lavoro ai tempi dei reality Nel giugno 2013, Milano e Roma sono state invase da migliaia di persone. Corpi ordinatamente disposti in fila indiana: non per entrare allo stadio e assistere a una partita di calcio o a un concerto; né per partecipare a uno dei cortei politico-sindacali che quasi ogni settimana sfilano nelle due metropoli, e nemmeno per accaparrarsi elettrodomestici o hardware a basso costo. I membri di quella massa statica – come l'avrebbe definita Elias Canetti – hanno atteso pazientemente il proprio turno, prima di essere sottoposti a una lunga serie di prove attitudinali, comportamentali e caratteriali, finalizzate a vivisezionare i loro profili. Come il più tradizionale dei riti di passaggio, quella prima prova rappresentava una soglia esistenziale, al di là della quale avrebbe potuto iniziare una nuova vita: diventare uno/a dei quattordici concorrenti del programma televisivo The Apprentice. Uomini e donne, di età compresa fra i venti e i quarant'anni, bussano alle porte di uno dei massimi esponenti del capitalismo italiano, il “boss'” Flavio Briatore. Nessuna delle critiche al programma ideato da Donald Trump si è soffermata a sufficienza sulla promessa di felicità che questo reality può offrire a una generazione di precari; una prospettiva che mobilita i sogni e le aspirazioni di chi è alle prese con la disoccupazione o, nel migliore dei casi, con un lavoro che – per ruolo, mansioni e/o stipendio – non soddisfa appieno. Una promessa che consente di mettere in luce alcune delle tendenze oggi attive nel mondo del lavoro e il loro nesso con la felicità delle giovani generazioni di italiani1. Accanto alla proletarizzazione crescente del lavoro intellettuale, oggi si assiste infatti a una dilagante “managerizzazione del proletariato” giovanile italiano. Prendere sul serio un reality come The Apprentice consente di apprezzare le finzioni messe in scena nel mercato del lavoro in Italia, dove gli appelli alla mobilità, alla flessibilità e alla polivalenza tipici del cosiddetto “nuovo spirito del capitalismo” convivono con un mondo imprenditoriale in larga parte ancora fondato su vincoli familistici.File | Dimensione | Formato | |
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