Un polo solo. Il lettore attento che abbia familiarità con i precedenti titoli di questa collana avrà notato una significativa discontinuità con i titoli dei due volumi precedenti. Questi ultimi, nell’evocare, rispettivamente, un «terremoto elettorale» [Chiaramonte e De Sio 2014] e un «vo-to del cambiamento» [Chiaramonte e De Sio 2019] facevano infatti riferimento quasi esclusiva-mente a dinamiche relative alle scelte di voto dei cittadini. Dinamiche che più o meno autonomamente avevano determinato l’esito politico dell’elezione, senza che intervenisse in modo de-terminante il ruolo del sistema elettorale: testimoniavano l’esplosione (nel 2013) di una domanda di discontinuità, da parte dell’elettorato, rispetto alla crisi dei partiti e degli schieramenti tradizionali, seguita poi (nel 2018) addirittura da un successo elettorale ancora maggiore per le forze «sfidanti» protagoniste di questa domanda di cambiamento; successo in grado addirittura di portarle al governo, secondo una formula che aveva addirittura scardinato la struttura tradizionale delle coalizioni di centro-sinistra e centro-destra. Ebbene, la nostra interpretazione è che il risultato del 2022 segni invece il passaggio a una fase nuova; che vede attori «sfidanti» ancora in prima fila, addirittura prendendo ormai una chiara leadership della coalizione vincente, ma con un ritorno in primo piano di alcuni meccanismi che avevano spiegato i risultati elettorali in tutto il corso della seconda Repubblica. In primo luogo, come vedremo, il sistema elettorale, che torna a contare con la sua capacità di discriminare tra attori politici in grado di coordinarsi strategicamente (oppure no) aggregandosi in coalizioni ampie in modo da sfruttare al meglio gli incentivi del sistema; e con la sua capacità (an-che in base ad altri fattori come la distribuzione territoriale del consenso) di premiare o punire una delle due coalizioni, contribuendo quindi ulteriormente a determinare il risultato. Ma in secondo luogo, anche con un ritorno di una struttura essenzialmente bipolare delle scelte di voto dei cittadini. Struttura che vedremo emergere in modo chiaro dall’analisi dei flussi di voto: con una sempre più netta impermeabilità reciproca dei due bacini elettorali di centrosinistra e centrodestra, e con l’unico partito davvero trasversale dell’ultimo decennio, il M5s, che vede il suo bacino elettorale fratturarsi e scomporsi secondo antiche linee ideologiche riconducibili a questo schema bipolare. Un’evoluzione, quest’ultima, che non deve sorprendere. La legislatura 2018-2022 si apre in-fatti con un fatto epocale: la formazione di un governo completamente «populista» con due forze (Lega e Movimento cinque stelle) che per certi versi rivendicavano entrambe una trasversalità ideologica: il M5s con l’aperta rivendicazione originaria di non essere «né di destra né di sinistra»; la Lega in modo indiretto, tuttavia rilevante, con una combinazione originale di proposte chiaramente di destra (soprattutto sull’immigrazione) e altre invece più vicine a un elettorato desideroso di protezione economica, ad esempio con il tema-bandiera dell’abrogazione della riforma Fornero delle pensioni, in grado di portare molti voti tra i ceti più popolari [De Sio, Man-noni, e Paparo 2020]. Ebbene, l’assunzione di responsabilità di governo ha per certi versi co-stretto entrambi questi partiti a una divisione tematica del lavoro: in particolare col Movimento cinque stelle che ha scelto di puntare sul tema-bandiera del reddito di cittadinanza, finendo inevitabilmente per derivarne una caratterizzazione politico-ideologica «di sinistra». Che ha pro-dotto movimenti di voto molto forti, già visibili tra 2018 e 2019 (vedi cap. 1 in questo volume) , che testimoniano una sorta di «ritorno a casa» di quella parte di centrodestra che nel decennio precedente si era spostata verso il M5s; e quindi un cambiamento della base del M5s, che da molti sondaggi risulta chiaramente collocata a sinistra già dal primo governo Conte. Ecco, quindi, l’avvio di un processo di posizionamento del Movimento cinque stelle [De Sio e Paparo 2023] che lo vede di fatto collocato (in termini di elettorato, di posizioni di policy caratterizzanti, non-ché di possibilità di alleanze) in un campo che diviene oramai quasi solo quello di centro-sinistra. E, come vedremo, con una dimensione di consenso ancora tale (dal 2019 in poi, sempre più prossima al 15% che al 10%) da non rendere davvero plausibili coalizioni competitive di centro-sinistra che lo escludano; a maggior ragione, dopo aver ceduto, già a inizio legislatura, una quota importante di voti verso il centro-destra, che dunque diviene ancora più forte. Con un’ulteriore conseguenza: l’archiviazione di fatto (nelle intenzioni di voto) già dal 2019 della configurazione tripolare che si era instaurata nel 2013. Processo di posizionamento, infine, che – come vedremo – ha avuto probabilmente effetti importanti di smobilitazione, in particolare tra coloro che avevano scelto originariamente il M5s proprio per la sua estraneità al sistema dei partiti, e che verosimilmente potrebbero averlo abbandonato (verso l’astensione) a causa della sua scelta (di fatto obbligata) di assumersi responsabilità di governo su temi chiave, risolvendo la propria ambiguità programmatica originaria, e quindi di fatto andando inevitabilmente a col-locarsi all’interno dell’asse ideologico della competizione. Ma perché allora un polo solo? Perché è proprio questo articolato cambiamento delle condizioni della competizione che, ancora una volta, viene interpretato in modo efficace, attento e pragmatico soltanto dallo schieramento di centro-destra. Schieramento che (a prescindere dalle fortissime divisioni interne, ad esempio sul sostegno al governo Draghi) non ha esitato un attimo – come in tutto il corso della seconda Repubblica, con la sola eccezione del 1996 – a presentarsi con un’offerta elettorale (in questo caso, una coalizione unita) in grado di aumentare al massimo le chances di vittoria. In altre parole, con la capacità di farsi «polo» in vista di un appunta-mento elettorale deciso, comunque, da una legge con un’importante componente maggioritaria (37% di seggi assegnati in collegi uninominali) e in presenza di consensi elettorali ormai di nuovo orientati da una struttura profonda di tipo bipolare. Capacità di farsi «polo» che è proprio quella che è mancata in modo drammatico alle due forze principali del campo di centro-sinistra. Nonostante l’esperienza di collaborazione tra Pd e M5s (sperimentata con il governo Conte II che affronta la fase più dura della pandemia, e poi proseguita anche con il governo Draghi), i due partiti si trovano divisi alla caduta di Draghi, e rinunciano a farsi «polo». Corrono infatti separatamente, con una strategia che per certi versi ricorda quella suicida di Occhetto e Segni nell’elezione del 1994 (ma allora in un contesto di molto maggiore diffidenza reciproca, e di assenza di collaborazioni precedenti), e che infatti porterà al risultato del 2022: lo schieramento di centro-destra che – pur con il 43,8% dei voti, inferiore a varie altre performance storiche – riesce ad ottenere una maggioranza amplissima in entrambe le Camere, risultato che non si era mai verificato dal 1994. Per certi versi, quindi, il risultato del 2022 ha una spiegazione semplice: in un contesto di ristrutturazione del sistema partitico, con il ritorno di meccanismi tipici del bipolarismo, all’appello per la competizione elettorale si è presentato un polo solo; e perciò ha inevitabilmente stravinto. Vediamo più in dettaglio come e perché.

UN POLO SOLO, AL COMANDO: I RISULTATI ELETTORALI E I FLUSSI DI VOTO / Davide Angelucci; Lorenzo De Sio; Aldo Paparo. - STAMPA. - (In corso di stampa), pp. 139-174.

UN POLO SOLO, AL COMANDO: I RISULTATI ELETTORALI E I FLUSSI DI VOTO

Lorenzo De Sio;Aldo Paparo
In corso di stampa

Abstract

Un polo solo. Il lettore attento che abbia familiarità con i precedenti titoli di questa collana avrà notato una significativa discontinuità con i titoli dei due volumi precedenti. Questi ultimi, nell’evocare, rispettivamente, un «terremoto elettorale» [Chiaramonte e De Sio 2014] e un «vo-to del cambiamento» [Chiaramonte e De Sio 2019] facevano infatti riferimento quasi esclusiva-mente a dinamiche relative alle scelte di voto dei cittadini. Dinamiche che più o meno autonomamente avevano determinato l’esito politico dell’elezione, senza che intervenisse in modo de-terminante il ruolo del sistema elettorale: testimoniavano l’esplosione (nel 2013) di una domanda di discontinuità, da parte dell’elettorato, rispetto alla crisi dei partiti e degli schieramenti tradizionali, seguita poi (nel 2018) addirittura da un successo elettorale ancora maggiore per le forze «sfidanti» protagoniste di questa domanda di cambiamento; successo in grado addirittura di portarle al governo, secondo una formula che aveva addirittura scardinato la struttura tradizionale delle coalizioni di centro-sinistra e centro-destra. Ebbene, la nostra interpretazione è che il risultato del 2022 segni invece il passaggio a una fase nuova; che vede attori «sfidanti» ancora in prima fila, addirittura prendendo ormai una chiara leadership della coalizione vincente, ma con un ritorno in primo piano di alcuni meccanismi che avevano spiegato i risultati elettorali in tutto il corso della seconda Repubblica. In primo luogo, come vedremo, il sistema elettorale, che torna a contare con la sua capacità di discriminare tra attori politici in grado di coordinarsi strategicamente (oppure no) aggregandosi in coalizioni ampie in modo da sfruttare al meglio gli incentivi del sistema; e con la sua capacità (an-che in base ad altri fattori come la distribuzione territoriale del consenso) di premiare o punire una delle due coalizioni, contribuendo quindi ulteriormente a determinare il risultato. Ma in secondo luogo, anche con un ritorno di una struttura essenzialmente bipolare delle scelte di voto dei cittadini. Struttura che vedremo emergere in modo chiaro dall’analisi dei flussi di voto: con una sempre più netta impermeabilità reciproca dei due bacini elettorali di centrosinistra e centrodestra, e con l’unico partito davvero trasversale dell’ultimo decennio, il M5s, che vede il suo bacino elettorale fratturarsi e scomporsi secondo antiche linee ideologiche riconducibili a questo schema bipolare. Un’evoluzione, quest’ultima, che non deve sorprendere. La legislatura 2018-2022 si apre in-fatti con un fatto epocale: la formazione di un governo completamente «populista» con due forze (Lega e Movimento cinque stelle) che per certi versi rivendicavano entrambe una trasversalità ideologica: il M5s con l’aperta rivendicazione originaria di non essere «né di destra né di sinistra»; la Lega in modo indiretto, tuttavia rilevante, con una combinazione originale di proposte chiaramente di destra (soprattutto sull’immigrazione) e altre invece più vicine a un elettorato desideroso di protezione economica, ad esempio con il tema-bandiera dell’abrogazione della riforma Fornero delle pensioni, in grado di portare molti voti tra i ceti più popolari [De Sio, Man-noni, e Paparo 2020]. Ebbene, l’assunzione di responsabilità di governo ha per certi versi co-stretto entrambi questi partiti a una divisione tematica del lavoro: in particolare col Movimento cinque stelle che ha scelto di puntare sul tema-bandiera del reddito di cittadinanza, finendo inevitabilmente per derivarne una caratterizzazione politico-ideologica «di sinistra». Che ha pro-dotto movimenti di voto molto forti, già visibili tra 2018 e 2019 (vedi cap. 1 in questo volume) , che testimoniano una sorta di «ritorno a casa» di quella parte di centrodestra che nel decennio precedente si era spostata verso il M5s; e quindi un cambiamento della base del M5s, che da molti sondaggi risulta chiaramente collocata a sinistra già dal primo governo Conte. Ecco, quindi, l’avvio di un processo di posizionamento del Movimento cinque stelle [De Sio e Paparo 2023] che lo vede di fatto collocato (in termini di elettorato, di posizioni di policy caratterizzanti, non-ché di possibilità di alleanze) in un campo che diviene oramai quasi solo quello di centro-sinistra. E, come vedremo, con una dimensione di consenso ancora tale (dal 2019 in poi, sempre più prossima al 15% che al 10%) da non rendere davvero plausibili coalizioni competitive di centro-sinistra che lo escludano; a maggior ragione, dopo aver ceduto, già a inizio legislatura, una quota importante di voti verso il centro-destra, che dunque diviene ancora più forte. Con un’ulteriore conseguenza: l’archiviazione di fatto (nelle intenzioni di voto) già dal 2019 della configurazione tripolare che si era instaurata nel 2013. Processo di posizionamento, infine, che – come vedremo – ha avuto probabilmente effetti importanti di smobilitazione, in particolare tra coloro che avevano scelto originariamente il M5s proprio per la sua estraneità al sistema dei partiti, e che verosimilmente potrebbero averlo abbandonato (verso l’astensione) a causa della sua scelta (di fatto obbligata) di assumersi responsabilità di governo su temi chiave, risolvendo la propria ambiguità programmatica originaria, e quindi di fatto andando inevitabilmente a col-locarsi all’interno dell’asse ideologico della competizione. Ma perché allora un polo solo? Perché è proprio questo articolato cambiamento delle condizioni della competizione che, ancora una volta, viene interpretato in modo efficace, attento e pragmatico soltanto dallo schieramento di centro-destra. Schieramento che (a prescindere dalle fortissime divisioni interne, ad esempio sul sostegno al governo Draghi) non ha esitato un attimo – come in tutto il corso della seconda Repubblica, con la sola eccezione del 1996 – a presentarsi con un’offerta elettorale (in questo caso, una coalizione unita) in grado di aumentare al massimo le chances di vittoria. In altre parole, con la capacità di farsi «polo» in vista di un appunta-mento elettorale deciso, comunque, da una legge con un’importante componente maggioritaria (37% di seggi assegnati in collegi uninominali) e in presenza di consensi elettorali ormai di nuovo orientati da una struttura profonda di tipo bipolare. Capacità di farsi «polo» che è proprio quella che è mancata in modo drammatico alle due forze principali del campo di centro-sinistra. Nonostante l’esperienza di collaborazione tra Pd e M5s (sperimentata con il governo Conte II che affronta la fase più dura della pandemia, e poi proseguita anche con il governo Draghi), i due partiti si trovano divisi alla caduta di Draghi, e rinunciano a farsi «polo». Corrono infatti separatamente, con una strategia che per certi versi ricorda quella suicida di Occhetto e Segni nell’elezione del 1994 (ma allora in un contesto di molto maggiore diffidenza reciproca, e di assenza di collaborazioni precedenti), e che infatti porterà al risultato del 2022: lo schieramento di centro-destra che – pur con il 43,8% dei voti, inferiore a varie altre performance storiche – riesce ad ottenere una maggioranza amplissima in entrambe le Camere, risultato che non si era mai verificato dal 1994. Per certi versi, quindi, il risultato del 2022 ha una spiegazione semplice: in un contesto di ristrutturazione del sistema partitico, con il ritorno di meccanismi tipici del bipolarismo, all’appello per la competizione elettorale si è presentato un polo solo; e perciò ha inevitabilmente stravinto. Vediamo più in dettaglio come e perché.
In corso di stampa
Un polo solo. Le elezioni politiche del 2022
139
174
Davide Angelucci; Lorenzo De Sio; Aldo Paparo
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