All’indomani delle elezioni del 2018, l’analisi sul rendimento del nuovo sistema elettorale – introdotto dalla legge Rosato pochi mesi prima – fornì alcune prime importanti indicazioni sui suoi effetti, oltre che sulla sua reale natura, ma suggerì anche la necessità di ulteriori approfondimenti a fronte di almeno un’altra applicazione. Le indicazioni allora emerse [Chiaramonte et al. 2019] misero in luce che, contrariamente alle aspettative di alcuni, la quota di seggi pari a poco più di un terzo del totale assegnata con formula plurality in collegi uninominali era stata sufficiente a incentivare i partiti, o almeno molti di loro, a formare coalizioni a sostegno di candidati unitari concorrenti proprio nei collegi uninominali e, per questa via, a dare una impronta complessivamente «maggioritaria» alla competizione elettorale, in continuità con quanto era avvenuto sin dal 1994 con altri sistemi elettorali, anch’essi «misti». La competizione fu infatti caratterizzata dal confronto tra schieramenti contrapposti che miravano al conseguimento della maggioranza assoluta dei seggi in entrambi i rami del parlamento così da poter formare, a sé stanti, un governo che avesse anche il crisma di una investitura come-se-diretta da parte degli elettori. Nel 2018 nessuno degli schieramenti in campo, peraltro, riuscì a centrare quell’obbiettivo. E se nessuno ci riuscì fu anche perché quella stessa quota di seggi maggioritari sufficiente a mantenere in vita le coalizioni non si rivelò invece sufficiente a sovra-rappresentare la coalizione con più voti in misura tale che potesse ottenere più del 50% dei seggi. Rimaneva però incerta la risposta al quesito se l’esito di una elezione non decisiva, ossia senza un chiaro vincitore, quale fu appunto quella del 2018, si fosse determinato, davvero, e quanto, a causa di un sistema elettorale troppo poco «maggioritario», oppure in conseguenza di un contesto competitivo tra tre schieramenti (allora il centro-destra, il Movimento cinque stelle e il centro-sinistra) nessuno dei quali in grado di imporsi significativamente sugli altri. E, tuttavia, già allora si evidenziò un notevole potenziale di disproporzionalità nel sistema elettorale, che in quella particolare elezione non si manifestò per via dell’elisione reciproca delle forti sovra-rappresentazioni del centro-destra al Nord e del M5s al Sud. Oltre a tutto ciò, nel 2018 emerse un comportamento di voto degli elettori orientato all’espressione di una scelta per un partito piuttosto che per il candidato di collegio. Avendo a disposizione un unico voto, e dunque non avendo la possibilità di disgiungere le preferenze tra parte proporzionale e parte maggioritaria, gli elettori in conflitto di scelta tra le due dovevano necessariamente optare per l’una o per l’altra. La gran parte di essi, se non la quasi totalità, sembrò privilegiare la scelta del partito concorrente per i seggi proporzionali rispetto alla scelta del candidato concorrente nel collegio uninominale per l’attribuzione del seggio maggioritario. Da questo specifico punto di vista, quindi, alla sua prima prova il sistema elettorale ha funzionato più come un sistema proporzionale che come un sistema maggioritario. Tuttavia, anche in questo caso, rimaneva il dubbio se così fosse stato proprio a causa del modo in cui il sistema elettorale è congegnato, ovvero per via di un processo di apprendimento delle nuove regole ancora largamente incompiuto da parte degli elettori. Insomma, l’esito delle elezioni del 2018 da un lato aveva fornito indicazioni che il nuovo sistema elettorale avesse determinato effetti prevalentemente maggioritari sulla competizione partitica e prevalentemente proporzionali sul comportamento di voto, ma dall’altro lato suggeriva una certa cautela nel trattarle come verificate una volta per tutte in considerazione dell’unica occasione in cui il sistema elettorale era stato applicato e della necessità di attendere che partiti ed elettori ne comprendessero pienamente il funzionamento e dunque vi si adattassero. La seconda applicazione del sistema elettorale disegnato dalla legge Rosato ha avuto luogo con le elezioni del 2022. Abbiamo quindi l’opportunità di estendere ad esse l’analisi già compiuta sulle elezioni del 2018. Gli interrogativi di fondo rimangono gli stessi, ossia 1) in che modo le componenti maggioritaria e proporzionale del sistema elettorale abbiano interagito e, complessivamente, 2) quanto tipicamente «maggioritari» ovvero «proporzionali» ne siano stati gli effetti. Cercheremo dunque di verificare se le prime indicazioni circa l’impatto che il nuovo sistema elettorale ha esercitato su elettori, partiti e sistema partitico siano state confermate anche nelle elezioni del 2022, o se, invece, siano emerse evidenze che modificano o integrano quanto rilevato in precedenza. Ovviamente, le analisi che condurremo in vista di tale obbiettivo non potranno non tenere conto del fatto che tra il 2018 e il 2022 il sistema elettorale è cambiato: non nel suo impianto di fondo, bensì in conseguenza della riduzione del numero di parlamentari di Camera e Senato, che ne ha modificato il funzionamento in più aspetti [Tarli Barbieri 2021]. Vedremo in dettaglio nel prossimo paragrafo (par. 2) in quali e con quali effetti, così da capire anche quanto ciò possa condizionare il confronto più ampio nelle conseguenze dell’applicazione del sistema elettorale tra il 2018 e il 2022. Proseguiremo quindi con le analisi che ci consentiranno di rispondere agli interrogativi di ricerca sopra specificati, suddividendole in base alla prospettiva utilizzata, di carattere «micro» laddove esse indagano il comportamento «strategico» [Cox 1997] dei partiti e degli elettori (par. 3), ossia il rispettivo adattamento agli incentivi posti dalle regole elettorali, di carattere «macro» quando esse investono l’impatto sistemico che le stesse regole hanno avuto (par. 4), in particolare sui livelli di disproporzionalità nel processo di trasformazione dei voti in seggi e sulla «fabbricazione» di una maggioranza in grado di sostenere in proprio un governo. Nel paragrafo finale (par. 5) forniremo infine una valutazione conclusiva sui variegati effetti che il sistema elettorale della legge Rosato, nelle due versioni in cui è stato applicato, ha prodotto nelle due elezioni del 2018 e del 2022.

Maggioritario di risulta. Gli effetti del nuovo sistema elettorale alla sua seconda prova / Alessandro Chiaramonte; Roberto D'Alimonte; Aldo Paparo. - STAMPA. - (2024), pp. 249-277.

Maggioritario di risulta. Gli effetti del nuovo sistema elettorale alla sua seconda prova

Alessandro Chiaramonte;Roberto D'Alimonte;Aldo Paparo
2024

Abstract

All’indomani delle elezioni del 2018, l’analisi sul rendimento del nuovo sistema elettorale – introdotto dalla legge Rosato pochi mesi prima – fornì alcune prime importanti indicazioni sui suoi effetti, oltre che sulla sua reale natura, ma suggerì anche la necessità di ulteriori approfondimenti a fronte di almeno un’altra applicazione. Le indicazioni allora emerse [Chiaramonte et al. 2019] misero in luce che, contrariamente alle aspettative di alcuni, la quota di seggi pari a poco più di un terzo del totale assegnata con formula plurality in collegi uninominali era stata sufficiente a incentivare i partiti, o almeno molti di loro, a formare coalizioni a sostegno di candidati unitari concorrenti proprio nei collegi uninominali e, per questa via, a dare una impronta complessivamente «maggioritaria» alla competizione elettorale, in continuità con quanto era avvenuto sin dal 1994 con altri sistemi elettorali, anch’essi «misti». La competizione fu infatti caratterizzata dal confronto tra schieramenti contrapposti che miravano al conseguimento della maggioranza assoluta dei seggi in entrambi i rami del parlamento così da poter formare, a sé stanti, un governo che avesse anche il crisma di una investitura come-se-diretta da parte degli elettori. Nel 2018 nessuno degli schieramenti in campo, peraltro, riuscì a centrare quell’obbiettivo. E se nessuno ci riuscì fu anche perché quella stessa quota di seggi maggioritari sufficiente a mantenere in vita le coalizioni non si rivelò invece sufficiente a sovra-rappresentare la coalizione con più voti in misura tale che potesse ottenere più del 50% dei seggi. Rimaneva però incerta la risposta al quesito se l’esito di una elezione non decisiva, ossia senza un chiaro vincitore, quale fu appunto quella del 2018, si fosse determinato, davvero, e quanto, a causa di un sistema elettorale troppo poco «maggioritario», oppure in conseguenza di un contesto competitivo tra tre schieramenti (allora il centro-destra, il Movimento cinque stelle e il centro-sinistra) nessuno dei quali in grado di imporsi significativamente sugli altri. E, tuttavia, già allora si evidenziò un notevole potenziale di disproporzionalità nel sistema elettorale, che in quella particolare elezione non si manifestò per via dell’elisione reciproca delle forti sovra-rappresentazioni del centro-destra al Nord e del M5s al Sud. Oltre a tutto ciò, nel 2018 emerse un comportamento di voto degli elettori orientato all’espressione di una scelta per un partito piuttosto che per il candidato di collegio. Avendo a disposizione un unico voto, e dunque non avendo la possibilità di disgiungere le preferenze tra parte proporzionale e parte maggioritaria, gli elettori in conflitto di scelta tra le due dovevano necessariamente optare per l’una o per l’altra. La gran parte di essi, se non la quasi totalità, sembrò privilegiare la scelta del partito concorrente per i seggi proporzionali rispetto alla scelta del candidato concorrente nel collegio uninominale per l’attribuzione del seggio maggioritario. Da questo specifico punto di vista, quindi, alla sua prima prova il sistema elettorale ha funzionato più come un sistema proporzionale che come un sistema maggioritario. Tuttavia, anche in questo caso, rimaneva il dubbio se così fosse stato proprio a causa del modo in cui il sistema elettorale è congegnato, ovvero per via di un processo di apprendimento delle nuove regole ancora largamente incompiuto da parte degli elettori. Insomma, l’esito delle elezioni del 2018 da un lato aveva fornito indicazioni che il nuovo sistema elettorale avesse determinato effetti prevalentemente maggioritari sulla competizione partitica e prevalentemente proporzionali sul comportamento di voto, ma dall’altro lato suggeriva una certa cautela nel trattarle come verificate una volta per tutte in considerazione dell’unica occasione in cui il sistema elettorale era stato applicato e della necessità di attendere che partiti ed elettori ne comprendessero pienamente il funzionamento e dunque vi si adattassero. La seconda applicazione del sistema elettorale disegnato dalla legge Rosato ha avuto luogo con le elezioni del 2022. Abbiamo quindi l’opportunità di estendere ad esse l’analisi già compiuta sulle elezioni del 2018. Gli interrogativi di fondo rimangono gli stessi, ossia 1) in che modo le componenti maggioritaria e proporzionale del sistema elettorale abbiano interagito e, complessivamente, 2) quanto tipicamente «maggioritari» ovvero «proporzionali» ne siano stati gli effetti. Cercheremo dunque di verificare se le prime indicazioni circa l’impatto che il nuovo sistema elettorale ha esercitato su elettori, partiti e sistema partitico siano state confermate anche nelle elezioni del 2022, o se, invece, siano emerse evidenze che modificano o integrano quanto rilevato in precedenza. Ovviamente, le analisi che condurremo in vista di tale obbiettivo non potranno non tenere conto del fatto che tra il 2018 e il 2022 il sistema elettorale è cambiato: non nel suo impianto di fondo, bensì in conseguenza della riduzione del numero di parlamentari di Camera e Senato, che ne ha modificato il funzionamento in più aspetti [Tarli Barbieri 2021]. Vedremo in dettaglio nel prossimo paragrafo (par. 2) in quali e con quali effetti, così da capire anche quanto ciò possa condizionare il confronto più ampio nelle conseguenze dell’applicazione del sistema elettorale tra il 2018 e il 2022. Proseguiremo quindi con le analisi che ci consentiranno di rispondere agli interrogativi di ricerca sopra specificati, suddividendole in base alla prospettiva utilizzata, di carattere «micro» laddove esse indagano il comportamento «strategico» [Cox 1997] dei partiti e degli elettori (par. 3), ossia il rispettivo adattamento agli incentivi posti dalle regole elettorali, di carattere «macro» quando esse investono l’impatto sistemico che le stesse regole hanno avuto (par. 4), in particolare sui livelli di disproporzionalità nel processo di trasformazione dei voti in seggi e sulla «fabbricazione» di una maggioranza in grado di sostenere in proprio un governo. Nel paragrafo finale (par. 5) forniremo infine una valutazione conclusiva sui variegati effetti che il sistema elettorale della legge Rosato, nelle due versioni in cui è stato applicato, ha prodotto nelle due elezioni del 2018 e del 2022.
2024
Un polo solo. Le elezioni politiche del 2022
249
277
Alessandro Chiaramonte; Roberto D'Alimonte; Aldo Paparo
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