La cosiddetta “questione abitativa” che perdurava dal secondo dopoguerra, negli anni Sessanta, spinta dall’immigrazione massiccia, si inasprì ulteriormente. Alle autocostruzioni, alla compravendita clandestina delle abitazioni pubbliche, al mercato nero degli alloggi, che avevano caratterizzato tutto il ventennio precedente, insieme a sporadiche fiammate di rivendicazioni collettive, subentrò a partire dal 1968, e sulla scorta degli avvenimenti di quell’anno, un esteso e duraturo ciclo di mobilitazioni per l’alloggio e per la riduzione di fitti e bollette. Dalle narrazioni delle mobilitazioni, dalle parole dei protagonisti e dei testimoni delle vicende, dai documentari realizzati nei baraccamenti e nelle occupazioni emerge il ruolo centrale delle donne nelle proteste: esse si occupavano della raccolta e dell'invio delle bollette autoridotte, organizzavano i picchetti per evitare gli sfratti, si opponevano alla polizia nei tentativi di sgombero delle occupazioni. All’analisi del protagonismo femminile in lotte che interrogavano direttamente lo spazio del domestico, le relazioni di vicinato e di quartiere, la vita quotidiana, il lavoro riproduttivo e i suoi luoghi, e allo studio delle condizioni di vita delle donne nei quartieri delle periferie, nei baraccamenti e negli alloggi impropri, è dedicata la presente ricerca. Considerata la natura di queste lotte che, per il loro specifico statuto, potevano incrinare, anche se solo provvisoriamente, la rigida separazione tra la dimensione politica, quella pubblica e quella privata, l’intento era quello di analizzarle in una prospettiva di genere e concentrarsi sulle occupazioni e i percorsi di autoriduzione dei fitti come momento da un lato di rottura dall’altro di ricomposizione dell’esperienza femminile nello spazio domestico. Se in tali mobilitazioni l’alloggio diventava uno spazio apertamente politico, in quanto obiettivo delle rivendicazioni, tale ottica voleva valorizzare, e verificare nei racconti e nei vissuti delle donne coinvolte nelle lotte, anche la politicità implicita dello spazio abitativo. Riassumendo brevemente la struttura del testo, nei primi due capitoli si inquadrano le vicende, si analizza l’origine del disagio abitativo, attraverso gli studi della sociologia coeva, le indagini degli enti e delle commissioni parlamentari, le inchieste televisive e gli articoli di riviste e quotidiani, soffermandosi sulla dimensione quantitativa del fenomeno ma anche su condizioni di vita e le carriere abitative di coloro che risiedevano negli alloggi impropri o sovraffollavano soffitte e seminterrati. Il lavoro, quindi, affonda lo sguardo su due casi di studio, Torino e Roma, città profondamente diverse per composizione sociale dei quartieri e “identità” percepite, per condizioni abitative e sviluppo urbano, per il differente ruolo di Iacp e società immobiliari, per settori produttivi e caratteristiche del mercato del lavoro, soffermandosi sulle mobilitazioni, sulla loro evoluzione e “conformazione”. Obiettivo di tale inquadramento è analizzare e decifrare le composizioni sociali attivatesi, cioè la punta dell’iceberg del disagio abitativo, andando a porre l’attenzione sui soggetti protagonisti delle vicende, primo fra tutti quello femminile, spesso schiacciati da ideologiche rappresentazioni che interpretavano le lotte urbane come l’eccedere della conflittualità operaia all’esterno della fabbrica. Dalle inchieste realizzate dai militanti dei comitati di quartiere e delle commissioni femminili, dai lavori di storici/che orali e sociologi/ghe, dagli articoli di quotidiani e riviste coeve, si è individuato e costituito un complesso di interviste a donne coinvolte, a vario livello, nelle mobilitazioni o residenti nei baraccamenti. L’attenzione ai vissuti personali, l’utilizzo di narrazioni sostanzialmente autobiografiche per quanto stimolate da sollecitazioni esterne, ha consentito di costruire un racconto corale senza svuotare ciascuna esperienza delle proprie specificità. L’uso di interviste coeve ai fatti ha restituito una memoria immediata, meno sovrascritta e condizionata dal tempo trascorso che ha fatto emergere nuove narrazioni e nuove periodizzazioni delle proteste, legate alla quotidianità e alla vita privata e familiare. Il carattere “militante” della documentazione, invece, oltre a imporre una necessaria cautela, ha permesso, considerando la natura intersoggettiva di tale materiale, di porre l’attenzione sullo scambio tra i soggetti intervistati e i produttori/le produttrici delle fonti, sul rapporto che si instaurò tra le diverse figure coinvolte nelle proteste. La composizione indagata, messa in rilievo dalla sua partecipazione alle mobilitazioni o dall’essere stata intercettata da ricercatori e ricercatrici nelle abitazioni improprie, appare allo stesso tempo atipica, in quanto oggetto e soggetto di processi di politicizzazione, ma anche rappresentativa di una condizione sociale più ampia. Si sono quindi analizzati da un lato gli aspetti anomali e irregolari dei loro racconti, l’irruzione in una sfera, quella politica, da cui erano fino ad allora generalmente rimaste escluse, e dall’altro le storie di vita in cui questi si inserivano, la norma, la quotidianità. Il terzo capitolo si concentra su quest’ultimo aspetto, sullo studio di una composizione, femminile, immigrata, proletaria o sottoproletaria per utilizzare i termini dell’epoca, che è spesso rimasta ai margini della storiografia o analizzata in funzione della figura maschile, fatta eccezione per pochi ma rilevanti lavori. La dimensione “autobiografica” delle fonti ha consentito di osservare le condizioni di vita precedenti all’arrivo in città, le reti migratorie, le traiettorie abitative, le ricerche di alloggio nel mercato privato, i continui sradicamenti, il rapporto con lo spazio domestico e quello pubblico, le relazioni intra-familiari e di vicinato, il lavoro riproduttivo svolto nelle abitazioni e il rapporto con quello salariato, la vita affettiva all’interno e all’esterno del matrimonio, il rapporto con il piacere sessuale, l’uso della contraccezione, le esperienze del parto e dell’aborto, i modelli culturali di stampo patriarcale e il rapporto delle donne con essi. Al percorso politico delle donne intervistate è invece dedicato il quarto e ultimo capitolo. Responsabili dell’economia domestica, del benessere della famiglia, di far quadrare il bilancio tra carovita e affitti troppo alti, le donne spesso erano le promotrici della scelta di occupare e di autoridurre: ad essere politicizzati erano gli spazi e le relazioni di cura, la volontà di migliorare le condizioni di vita dei figli si arricchiva nelle mobilitazioni di legami significativi e di nuova consapevolezza e significato. Nelle reti di vicinato femminili, in luoghi di incontro come il mercato o l’uscita dei figli dalle scuole del quartiere, avveniva quel riconoscimento di esigenze comuni che era alla base dell’organizzazione delle proteste. Le testimonianze permettono di osservare le traiettorie, eterogenee e mai lineari, di tale partecipazione: l’elezione di alcune a delegata di scala, il ritorno di molte nello spazio domestico, la costituzione di riunioni di sole donne. Il lavoro di ricerca prova quindi a mettere in luce la risemantizzazione politica dei “tradizionali” compiti di cura femminili, la rinegoziazione di ruoli e modelli, ma anche le resistenze a tali processi, dettate da sistemi di valore patriarcali esterni e introiettati, dai sensi di colpa e dagli obblighi verso i figli, da una percezione di impreparazione e inadeguatezza, ecc. Le parole delle donne intervistate, il loro investimento nell’ambiente domestico evidenziano l’importanza dell’alloggio nel processo di inserimento sociale e quindi la necessità di interpretare le mobilitazioni per la casa, al di là di come erano rappresentate nelle ricostruzioni coeve, anche come desiderio di accesso al benessere e di integrazione nella città di arrivo da parte di famiglie che ne erano fino ad allora rimaste escluse. La tesi cerca quindi non separare concettualmente tali tensioni e di non considerare realtà distinte o parallele l’esperienza del miracolo economico e quella dell’impegno politico, ma anzi di porre al centro proprio il nesso tra bisogni, diritti e consumi. Le interviste, infine, per il loro già ricordato carattere intersoggettivo, mostrano il confronto tra figure differenti, ovvero le militanti attive sul territorio e le donne residenti nei palazzi in lotta: la tesi analizza quindi tali rapporti, le aspettative reciprocamente riposte, gli sguardi, le diffidenze, le frustrazioni. Se per le abitanti di occupazioni e quartieri in lotta, la partecipazione alle mobilitazioni fu sicuramente un’esperienza segnante, analogo discorso può essere fatto per le militanti e attiviste coinvolte. Tale esperienza portò alla ribalta aspetti della vita quotidiana fino ad allora considerati sovra-strutturali, come le relazioni intra-familiari, la maternità, la sessualità, l’aborto. Questioni che fecero esplodere l’urgenza comune rispetto al diritto di autodeterminazione del proprio corpo, che manifestarono la necessità di momenti e spazi separati di discussione e misero in discussione la stessa “natura” della propria militanza. Il materiale prodotto dalle commissioni femminili delle organizzazioni della sinistra extra-parlamentare, la documentazione archiviata dai gruppi femministi e dai collettivi di donne di quartiere, le interviste realizzate negli anni successivi hanno consentito di analizzare il punto di vista delle militanti, l’impegno femminista sul territorio, la costruzione nei quartieri dei consultori autogestiti e di collettivi di sole donne.

Marisa e le altre. Storie di vita, soggettività e politicizzazione nelle lotte per la casa (Torino e Roma, 1969-1976) / Giulia Novaro. - (2024).

Marisa e le altre. Storie di vita, soggettività e politicizzazione nelle lotte per la casa (Torino e Roma, 1969-1976)

Giulia Novaro
2024

Abstract

La cosiddetta “questione abitativa” che perdurava dal secondo dopoguerra, negli anni Sessanta, spinta dall’immigrazione massiccia, si inasprì ulteriormente. Alle autocostruzioni, alla compravendita clandestina delle abitazioni pubbliche, al mercato nero degli alloggi, che avevano caratterizzato tutto il ventennio precedente, insieme a sporadiche fiammate di rivendicazioni collettive, subentrò a partire dal 1968, e sulla scorta degli avvenimenti di quell’anno, un esteso e duraturo ciclo di mobilitazioni per l’alloggio e per la riduzione di fitti e bollette. Dalle narrazioni delle mobilitazioni, dalle parole dei protagonisti e dei testimoni delle vicende, dai documentari realizzati nei baraccamenti e nelle occupazioni emerge il ruolo centrale delle donne nelle proteste: esse si occupavano della raccolta e dell'invio delle bollette autoridotte, organizzavano i picchetti per evitare gli sfratti, si opponevano alla polizia nei tentativi di sgombero delle occupazioni. All’analisi del protagonismo femminile in lotte che interrogavano direttamente lo spazio del domestico, le relazioni di vicinato e di quartiere, la vita quotidiana, il lavoro riproduttivo e i suoi luoghi, e allo studio delle condizioni di vita delle donne nei quartieri delle periferie, nei baraccamenti e negli alloggi impropri, è dedicata la presente ricerca. Considerata la natura di queste lotte che, per il loro specifico statuto, potevano incrinare, anche se solo provvisoriamente, la rigida separazione tra la dimensione politica, quella pubblica e quella privata, l’intento era quello di analizzarle in una prospettiva di genere e concentrarsi sulle occupazioni e i percorsi di autoriduzione dei fitti come momento da un lato di rottura dall’altro di ricomposizione dell’esperienza femminile nello spazio domestico. Se in tali mobilitazioni l’alloggio diventava uno spazio apertamente politico, in quanto obiettivo delle rivendicazioni, tale ottica voleva valorizzare, e verificare nei racconti e nei vissuti delle donne coinvolte nelle lotte, anche la politicità implicita dello spazio abitativo. Riassumendo brevemente la struttura del testo, nei primi due capitoli si inquadrano le vicende, si analizza l’origine del disagio abitativo, attraverso gli studi della sociologia coeva, le indagini degli enti e delle commissioni parlamentari, le inchieste televisive e gli articoli di riviste e quotidiani, soffermandosi sulla dimensione quantitativa del fenomeno ma anche su condizioni di vita e le carriere abitative di coloro che risiedevano negli alloggi impropri o sovraffollavano soffitte e seminterrati. Il lavoro, quindi, affonda lo sguardo su due casi di studio, Torino e Roma, città profondamente diverse per composizione sociale dei quartieri e “identità” percepite, per condizioni abitative e sviluppo urbano, per il differente ruolo di Iacp e società immobiliari, per settori produttivi e caratteristiche del mercato del lavoro, soffermandosi sulle mobilitazioni, sulla loro evoluzione e “conformazione”. Obiettivo di tale inquadramento è analizzare e decifrare le composizioni sociali attivatesi, cioè la punta dell’iceberg del disagio abitativo, andando a porre l’attenzione sui soggetti protagonisti delle vicende, primo fra tutti quello femminile, spesso schiacciati da ideologiche rappresentazioni che interpretavano le lotte urbane come l’eccedere della conflittualità operaia all’esterno della fabbrica. Dalle inchieste realizzate dai militanti dei comitati di quartiere e delle commissioni femminili, dai lavori di storici/che orali e sociologi/ghe, dagli articoli di quotidiani e riviste coeve, si è individuato e costituito un complesso di interviste a donne coinvolte, a vario livello, nelle mobilitazioni o residenti nei baraccamenti. L’attenzione ai vissuti personali, l’utilizzo di narrazioni sostanzialmente autobiografiche per quanto stimolate da sollecitazioni esterne, ha consentito di costruire un racconto corale senza svuotare ciascuna esperienza delle proprie specificità. L’uso di interviste coeve ai fatti ha restituito una memoria immediata, meno sovrascritta e condizionata dal tempo trascorso che ha fatto emergere nuove narrazioni e nuove periodizzazioni delle proteste, legate alla quotidianità e alla vita privata e familiare. Il carattere “militante” della documentazione, invece, oltre a imporre una necessaria cautela, ha permesso, considerando la natura intersoggettiva di tale materiale, di porre l’attenzione sullo scambio tra i soggetti intervistati e i produttori/le produttrici delle fonti, sul rapporto che si instaurò tra le diverse figure coinvolte nelle proteste. La composizione indagata, messa in rilievo dalla sua partecipazione alle mobilitazioni o dall’essere stata intercettata da ricercatori e ricercatrici nelle abitazioni improprie, appare allo stesso tempo atipica, in quanto oggetto e soggetto di processi di politicizzazione, ma anche rappresentativa di una condizione sociale più ampia. Si sono quindi analizzati da un lato gli aspetti anomali e irregolari dei loro racconti, l’irruzione in una sfera, quella politica, da cui erano fino ad allora generalmente rimaste escluse, e dall’altro le storie di vita in cui questi si inserivano, la norma, la quotidianità. Il terzo capitolo si concentra su quest’ultimo aspetto, sullo studio di una composizione, femminile, immigrata, proletaria o sottoproletaria per utilizzare i termini dell’epoca, che è spesso rimasta ai margini della storiografia o analizzata in funzione della figura maschile, fatta eccezione per pochi ma rilevanti lavori. La dimensione “autobiografica” delle fonti ha consentito di osservare le condizioni di vita precedenti all’arrivo in città, le reti migratorie, le traiettorie abitative, le ricerche di alloggio nel mercato privato, i continui sradicamenti, il rapporto con lo spazio domestico e quello pubblico, le relazioni intra-familiari e di vicinato, il lavoro riproduttivo svolto nelle abitazioni e il rapporto con quello salariato, la vita affettiva all’interno e all’esterno del matrimonio, il rapporto con il piacere sessuale, l’uso della contraccezione, le esperienze del parto e dell’aborto, i modelli culturali di stampo patriarcale e il rapporto delle donne con essi. Al percorso politico delle donne intervistate è invece dedicato il quarto e ultimo capitolo. Responsabili dell’economia domestica, del benessere della famiglia, di far quadrare il bilancio tra carovita e affitti troppo alti, le donne spesso erano le promotrici della scelta di occupare e di autoridurre: ad essere politicizzati erano gli spazi e le relazioni di cura, la volontà di migliorare le condizioni di vita dei figli si arricchiva nelle mobilitazioni di legami significativi e di nuova consapevolezza e significato. Nelle reti di vicinato femminili, in luoghi di incontro come il mercato o l’uscita dei figli dalle scuole del quartiere, avveniva quel riconoscimento di esigenze comuni che era alla base dell’organizzazione delle proteste. Le testimonianze permettono di osservare le traiettorie, eterogenee e mai lineari, di tale partecipazione: l’elezione di alcune a delegata di scala, il ritorno di molte nello spazio domestico, la costituzione di riunioni di sole donne. Il lavoro di ricerca prova quindi a mettere in luce la risemantizzazione politica dei “tradizionali” compiti di cura femminili, la rinegoziazione di ruoli e modelli, ma anche le resistenze a tali processi, dettate da sistemi di valore patriarcali esterni e introiettati, dai sensi di colpa e dagli obblighi verso i figli, da una percezione di impreparazione e inadeguatezza, ecc. Le parole delle donne intervistate, il loro investimento nell’ambiente domestico evidenziano l’importanza dell’alloggio nel processo di inserimento sociale e quindi la necessità di interpretare le mobilitazioni per la casa, al di là di come erano rappresentate nelle ricostruzioni coeve, anche come desiderio di accesso al benessere e di integrazione nella città di arrivo da parte di famiglie che ne erano fino ad allora rimaste escluse. La tesi cerca quindi non separare concettualmente tali tensioni e di non considerare realtà distinte o parallele l’esperienza del miracolo economico e quella dell’impegno politico, ma anzi di porre al centro proprio il nesso tra bisogni, diritti e consumi. Le interviste, infine, per il loro già ricordato carattere intersoggettivo, mostrano il confronto tra figure differenti, ovvero le militanti attive sul territorio e le donne residenti nei palazzi in lotta: la tesi analizza quindi tali rapporti, le aspettative reciprocamente riposte, gli sguardi, le diffidenze, le frustrazioni. Se per le abitanti di occupazioni e quartieri in lotta, la partecipazione alle mobilitazioni fu sicuramente un’esperienza segnante, analogo discorso può essere fatto per le militanti e attiviste coinvolte. Tale esperienza portò alla ribalta aspetti della vita quotidiana fino ad allora considerati sovra-strutturali, come le relazioni intra-familiari, la maternità, la sessualità, l’aborto. Questioni che fecero esplodere l’urgenza comune rispetto al diritto di autodeterminazione del proprio corpo, che manifestarono la necessità di momenti e spazi separati di discussione e misero in discussione la stessa “natura” della propria militanza. Il materiale prodotto dalle commissioni femminili delle organizzazioni della sinistra extra-parlamentare, la documentazione archiviata dai gruppi femministi e dai collettivi di donne di quartiere, le interviste realizzate negli anni successivi hanno consentito di analizzare il punto di vista delle militanti, l’impegno femminista sul territorio, la costruzione nei quartieri dei consultori autogestiti e di collettivi di sole donne.
2024
Simone Neri Serneri
Giulia Novaro
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Tipologia: Tesi di dottorato
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