Paradise Camp e Ghana Freedom: questi i titoli delle mostre ospitate nei Padiglioni della Nuova Zelanda e del Ghana in occasione delle Biennali di Venezia del 2022 e del 2019. La scelta di selezionare questi due padiglioni come punto di partenza per svolgere alcune riflessioni inerenti alla difficoltà di ricomporre una memoria condivisa in paesi segnati dalle vicende coloniali, è dettata dal fatto che in entrambi i casi viene messa in atto una rilettura di iconografie e modelli occidentali. La finalità di Yuki Kihara e Lynette Yiadom-Boakye, le due artiste affrontate nel presente contributo, è quella di provare a raccontare un’altra storia ed evitare Il pericolo di un’unica storia, per citare il saggio di Chimamanda Ngozi Adichie, autrice tra l’altro di Americanah, romanzo vincitore del National Book Critics Circle Award nel 2013. Nel pamphlet, la scrittrice spiega che ‘l’unica storia’ è quella cui tutti potenzialmente possiamo soggiacere, rendendo assolute e incontestabili le narrazioni che vengono proposte e presentate come tali. ‘L’unica storia’ abbassa le nostre difese critiche, portando a condividere gli stereotipi: così, ad esempio, l’autrice si stupisce, da bambina, che la famiglia poverissima del domestico Fide possa produrre dei bellissimi oggetti d’artigianato, avendo sempre pensato quella famiglia come povera e basta, senza alcuna capacità. Giunta negli Stati Uniti a studiare all’università, è Adichie stessa, invece, a essere vittima di ‘un’unica storia’, e si vede costretta a smontare uno per uno tutti i pregiudizi della coinquilina, rimasta ancorata a una visione potremmo dire ‘primitiveggiante’ della coetanea africana (non ritenendola in grado, ad esempio, di accendere un fornello). Le uniche storie vengono disarticolate, nella letteratura postcoloniale anglofona, attraverso l’adozione di diverse prospettive che percorrono e innervano i racconti, rendendo l’intreccio, l’entanglement, meccanismo narrativo e polo tematico al tempo stesso: Le narrazioni postcoloniali anglofone ruotano attorno a un potente perno metanarrativo, tanto che i romanzi considerati [The Book of Secrets di Vassanji, By the Sea di Gurnah, The Enigma of Arrival di Naipaul] si configurano come portatori di riflessioni sui meccanismi del narrare, attraverso la centralità attribuita alla storia e alla memoria, e lo spessore emotivo, oltre che ideologico, che gli spazi acquisiscono al loro interno. Lo svuotamento, la ripresa e la rivisitazione di modelli coloniali occidentali trovano ovviamente delle corrispondenze anche in ambito artistico, e il sistema dei Padiglioni nazionali si presta in modo particolare a divenire terreno di mediazione culturale, interrogandosi costitutivamente sulla persistenza di margini e limiti, chiusure e ibridazioni. Ritornando ancora alle parole di Nicoletta Brazzelli, autrice de L’enigma della memoria: la pratica della riscrittura da parte degli autori postcoloniali mira a scardinare il canone, a trasformarlo attraverso il recupero critico dei modelli testuali coloniali e dei tropi rappresentativi dell’impero. Si tratta di esercizi metanarrativi che mettono in rapporto finzione e narrazione, e si pongono come obiettivo quello di far riemergere la voce dell’altro, a lungo tacitata dall’egemonia dei testi coloniali. Buona parte delle considerazioni svolte in L’enigma della memoria valgono anche per il panorama artistico contemporaneo, a partire dalle due figure già menzionate: Yuki Kihara, prima artista del Pacifico a rappresentare la Nuova Zelanda alla Biennale di Venezia del 2022, e Lynette Yiadom-Boakye, tra le protagoniste del padiglione ghanese alla Biennale del 2019 (il primo in assoluto del Ghana). Va subito specificato che si tratta di opere concettualmente profondamente diverse, dal momento che a Kihara è stato affidato l’intero padiglione, mentre Boakye ha esposto soltanto alcuni dipinti; tuttavia, i lavori dell’una e dell’altra si confrontano con il problema di uno sguardo ‘altro’, affrontando una rilettura dei codici visivi occidentali che passa attraverso una riflessione sul mezzo utilizzato. Nel corso del saggio si daranno per acquisiti gli approfondimenti, fondamentali, dedicati al tema del primitivismo, che peraltro richiederebbero un taglio critico diverso rispetto a quello qui adottato, per focalizzarsi invece sulla rilettura e riappropriazione di temi visivi occidentali da parte di Kihara e Boakye, contestualizzandole da un punto di vista storico-geografico e artistico.
Ricomporre la memoria: alcune riflessioni a partire dai padiglioni del Ghana (Biennale di Venezia 2019) e della Nuova Zelanda (Biennale di Venezia 2022) / Giorgio Bacci. - STAMPA. - (2025), pp. 235-250.
Ricomporre la memoria: alcune riflessioni a partire dai padiglioni del Ghana (Biennale di Venezia 2019) e della Nuova Zelanda (Biennale di Venezia 2022)
Giorgio Bacci
2025
Abstract
Paradise Camp e Ghana Freedom: questi i titoli delle mostre ospitate nei Padiglioni della Nuova Zelanda e del Ghana in occasione delle Biennali di Venezia del 2022 e del 2019. La scelta di selezionare questi due padiglioni come punto di partenza per svolgere alcune riflessioni inerenti alla difficoltà di ricomporre una memoria condivisa in paesi segnati dalle vicende coloniali, è dettata dal fatto che in entrambi i casi viene messa in atto una rilettura di iconografie e modelli occidentali. La finalità di Yuki Kihara e Lynette Yiadom-Boakye, le due artiste affrontate nel presente contributo, è quella di provare a raccontare un’altra storia ed evitare Il pericolo di un’unica storia, per citare il saggio di Chimamanda Ngozi Adichie, autrice tra l’altro di Americanah, romanzo vincitore del National Book Critics Circle Award nel 2013. Nel pamphlet, la scrittrice spiega che ‘l’unica storia’ è quella cui tutti potenzialmente possiamo soggiacere, rendendo assolute e incontestabili le narrazioni che vengono proposte e presentate come tali. ‘L’unica storia’ abbassa le nostre difese critiche, portando a condividere gli stereotipi: così, ad esempio, l’autrice si stupisce, da bambina, che la famiglia poverissima del domestico Fide possa produrre dei bellissimi oggetti d’artigianato, avendo sempre pensato quella famiglia come povera e basta, senza alcuna capacità. Giunta negli Stati Uniti a studiare all’università, è Adichie stessa, invece, a essere vittima di ‘un’unica storia’, e si vede costretta a smontare uno per uno tutti i pregiudizi della coinquilina, rimasta ancorata a una visione potremmo dire ‘primitiveggiante’ della coetanea africana (non ritenendola in grado, ad esempio, di accendere un fornello). Le uniche storie vengono disarticolate, nella letteratura postcoloniale anglofona, attraverso l’adozione di diverse prospettive che percorrono e innervano i racconti, rendendo l’intreccio, l’entanglement, meccanismo narrativo e polo tematico al tempo stesso: Le narrazioni postcoloniali anglofone ruotano attorno a un potente perno metanarrativo, tanto che i romanzi considerati [The Book of Secrets di Vassanji, By the Sea di Gurnah, The Enigma of Arrival di Naipaul] si configurano come portatori di riflessioni sui meccanismi del narrare, attraverso la centralità attribuita alla storia e alla memoria, e lo spessore emotivo, oltre che ideologico, che gli spazi acquisiscono al loro interno. Lo svuotamento, la ripresa e la rivisitazione di modelli coloniali occidentali trovano ovviamente delle corrispondenze anche in ambito artistico, e il sistema dei Padiglioni nazionali si presta in modo particolare a divenire terreno di mediazione culturale, interrogandosi costitutivamente sulla persistenza di margini e limiti, chiusure e ibridazioni. Ritornando ancora alle parole di Nicoletta Brazzelli, autrice de L’enigma della memoria: la pratica della riscrittura da parte degli autori postcoloniali mira a scardinare il canone, a trasformarlo attraverso il recupero critico dei modelli testuali coloniali e dei tropi rappresentativi dell’impero. Si tratta di esercizi metanarrativi che mettono in rapporto finzione e narrazione, e si pongono come obiettivo quello di far riemergere la voce dell’altro, a lungo tacitata dall’egemonia dei testi coloniali. Buona parte delle considerazioni svolte in L’enigma della memoria valgono anche per il panorama artistico contemporaneo, a partire dalle due figure già menzionate: Yuki Kihara, prima artista del Pacifico a rappresentare la Nuova Zelanda alla Biennale di Venezia del 2022, e Lynette Yiadom-Boakye, tra le protagoniste del padiglione ghanese alla Biennale del 2019 (il primo in assoluto del Ghana). Va subito specificato che si tratta di opere concettualmente profondamente diverse, dal momento che a Kihara è stato affidato l’intero padiglione, mentre Boakye ha esposto soltanto alcuni dipinti; tuttavia, i lavori dell’una e dell’altra si confrontano con il problema di uno sguardo ‘altro’, affrontando una rilettura dei codici visivi occidentali che passa attraverso una riflessione sul mezzo utilizzato. Nel corso del saggio si daranno per acquisiti gli approfondimenti, fondamentali, dedicati al tema del primitivismo, che peraltro richiederebbero un taglio critico diverso rispetto a quello qui adottato, per focalizzarsi invece sulla rilettura e riappropriazione di temi visivi occidentali da parte di Kihara e Boakye, contestualizzandole da un punto di vista storico-geografico e artistico.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
2025 Bacci_Straniere in Italia.pdf
Accesso chiuso
Tipologia:
Pdf editoriale (Version of record)
Licenza:
Tutti i diritti riservati
Dimensione
253.96 kB
Formato
Adobe PDF
|
253.96 kB | Adobe PDF | Richiedi una copia |
I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.