Se si esamina le politiche migratorie italiane degli ultimi due decenni, cioè dalla legge 39/1990 (cosiddetta legge Martelli) che, per la prima volta si propone di disciplinare in modo organico l’immigrazione, si nota che le scelte fatte per regolare i flussi di ingresso hanno prodotto una vasta area di irregolarità. Tanto che il governo italiano è intervenuto più volte con sanatorie, così che circa la metà degli stranieri oggi residenti in Italia ha acquisito il proprio status di regolarmente soggiornate grazie a questi provvedimenti. Lo stesso meccanismo ordinario di ingresso per motivi di lavoro si è palesemente trasformato in una sorta di sanatoria annuale dei migranti già presenti sul territorio nazionale. Appare ormai evidente che il meccanismo di regolamentazione dei flussi migratori scelto dall’Italia produce irregolarità, non tanto degli ingressi, ma del soggiorno originariamente autorizzato per un breve periodo e protratto per ricerca di lavoro (i migranti irregolari, sono cioè principalmente overstayers). Nonostante questa palese incongruità abbiamo deciso di non modificare questi meccanismi, perché l’economia e la società italiana sembra aver bisogno di lavoratori in condizioni di grande debolezza che li spingono ad accettare condizioni di lavoro fortemente discriminatorie, con retribuzioni che, per esempio nel settore della cura domestica, sono anche un terzo di quelle che deriverebbero dal rispetto dei contratti di lavoro e con orari di lavoro fuori da ogni regola posta a tutela del lavoratore. La scelta di governa in questo modo i flussi migratori ha come effetto una forte sovra rappresentazione dei migranti detenuti, chi infatti risiede irregolarmente sul nostro territorio appena si ribella al meccanismo di inclusione neo-schivistico, finisce per incappare nella maglie della giustizia penale e, quindi, dato il suo status di irregolare, nel carcere. Alla cittadinanza inclusiva, alle politiche di presa incarico della popolazione, che avevano caratterizzato gli ultimi due secoli, nell’era della globalizzazione si sostituisce la “cittadinanza escludente” incentrata su politiche di sua selezione. In questo contesto, il carcere muta la sua funzione da ultimo strumento di inclusione sociale, da strumento cioè di “rieducazione”, a filtro selettivo della popolazione destinata alla marginalità sociale o all’espulsione.

“Exclusive vs. Inclusive Citizenship: The Role of Prisons in the Government of Migrants”/“Citoyenneté qui exclut ou qui integer? Le role des prisons dans la gouvernance des migrations contemporaines” / E. Santoro. - STAMPA. - (2008), pp. 271/295-296/322.

“Exclusive vs. Inclusive Citizenship: The Role of Prisons in the Government of Migrants”/“Citoyenneté qui exclut ou qui integer? Le role des prisons dans la gouvernance des migrations contemporaines”

SANTORO, EMILIO
2008

Abstract

Se si esamina le politiche migratorie italiane degli ultimi due decenni, cioè dalla legge 39/1990 (cosiddetta legge Martelli) che, per la prima volta si propone di disciplinare in modo organico l’immigrazione, si nota che le scelte fatte per regolare i flussi di ingresso hanno prodotto una vasta area di irregolarità. Tanto che il governo italiano è intervenuto più volte con sanatorie, così che circa la metà degli stranieri oggi residenti in Italia ha acquisito il proprio status di regolarmente soggiornate grazie a questi provvedimenti. Lo stesso meccanismo ordinario di ingresso per motivi di lavoro si è palesemente trasformato in una sorta di sanatoria annuale dei migranti già presenti sul territorio nazionale. Appare ormai evidente che il meccanismo di regolamentazione dei flussi migratori scelto dall’Italia produce irregolarità, non tanto degli ingressi, ma del soggiorno originariamente autorizzato per un breve periodo e protratto per ricerca di lavoro (i migranti irregolari, sono cioè principalmente overstayers). Nonostante questa palese incongruità abbiamo deciso di non modificare questi meccanismi, perché l’economia e la società italiana sembra aver bisogno di lavoratori in condizioni di grande debolezza che li spingono ad accettare condizioni di lavoro fortemente discriminatorie, con retribuzioni che, per esempio nel settore della cura domestica, sono anche un terzo di quelle che deriverebbero dal rispetto dei contratti di lavoro e con orari di lavoro fuori da ogni regola posta a tutela del lavoratore. La scelta di governa in questo modo i flussi migratori ha come effetto una forte sovra rappresentazione dei migranti detenuti, chi infatti risiede irregolarmente sul nostro territorio appena si ribella al meccanismo di inclusione neo-schivistico, finisce per incappare nella maglie della giustizia penale e, quindi, dato il suo status di irregolare, nel carcere. Alla cittadinanza inclusiva, alle politiche di presa incarico della popolazione, che avevano caratterizzato gli ultimi due secoli, nell’era della globalizzazione si sostituisce la “cittadinanza escludente” incentrata su politiche di sua selezione. In questo contesto, il carcere muta la sua funzione da ultimo strumento di inclusione sociale, da strumento cioè di “rieducazione”, a filtro selettivo della popolazione destinata alla marginalità sociale o all’espulsione.
2008
9789287162854
Reconciling migrants’ well being and the public interest. Welfare state, firms and citizenship in transition/Concilier bien-être des migrants et intérêt collectif. Etat social,enterprises et citoyenneté en transformation, vol. 19 della collanna: Trends in social cohesion/Tendeces de la cohesion sociale
271/295
296/322
E. Santoro
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