Si allude nel titolo ad un approccio relativamente tardivo di Baldacci critico a Leopardi. In realtà egli si avvaleva già nei suoi primi scritti di un valore comparatistico definito “indice leopardiano” che applicava agli autori allora studiati e amati, per sottolinearne la tinta cupa con cui guardavano alla realtà circostante. A cavallo degli anni settanta si infittiscono spunti critici personalissimi percepiti tuttavia come improponibili in un momento in cui il pensiero leopardiano era monopolizzato e, secondo lui, strumentalizzato, dopo l’idealismo crociano, dallo storicismo marxista. La scintilla che lo fa uscire allo scoperto è l’uscita editoriale su «Paragone» del 1976 dell’articolo di Mario Andrea Rigoni Leopardi e l’estetizzazione dell’antico che segna un modo nuovo di leggere Leopardi, materialista e nichilista insieme. Da allora Baldacci riflette con maggiore frequenza su Leopardi e vi trova le contraddizioni della vita, il rifiuto di false ricomposizioni, una mente lucidissima sì, ma nel distruggere un pensiero che si smentisce ad ogni nuova considerazione, ad ogni verifica del passato e del presente, che non si adegua alle idee correnti, e patisce la propria sempre cangiante verità. Proprio nel ’76 Baldacci inizia come docente universitario il primo dei suoi, poi ricorrenti, corsi leopardiani, e nel 1982 pubblica il saggio Due utopie di Leopardi: la società dei castori e il mondo della Ginestra e nel 1984 Leopardi o del paradosso, entrambi nell’«Antologia Vieusseux». Questi due contributi, basati in massima parte sullo Zibaldone, costituiranno il nucleo portante del suo libro Il male nell’ordine. Scritti leopardiani, che esce per Rizzoli nel 1998, completato da successivi articoli e recensioni e da un’ampia introduzione, Distanza da Leopardi, che, in quanto a paradossalità, non ha niente da invidiare al suo oggetto di indagine, al quale l’autore si sovrappone in maniera non certo inconsapevole. Segue a ruota un terzo saggio sull’«Antologia Vieusseux» (fascicolo gennaio-aprile 1998) intitolato Il nulla secondo Leopardi, conosciuto dai più nella ristampa che apre l’ultima silloge ottocentesca di Baldacci, Ottocento come noi. Saggi e pretesti italiani, pubblicata postuma ancora da Rizzoli nel 2003. Qui egli vuole ribadire con forza l’assenza in Leopardi di una coerenza negata a se stesso e al mondo, in polemica con chi vuole il poeta legato alle sue prime certezze e con chi, da parti critiche opposte, lo vede ancora in cammino verso un più maturo progressismo. Niente quindi da rivedere rispetto al suo Male nell’ordine, destinato per “voler del fato” a rimanere l’unico volume di Luigi Baldacci interamente dedicato a Leopardi.
Approdo a Leopardi / V. Melani. - STAMPA. - (2008), pp. 129-137.
Approdo a Leopardi
MELANI, VIVIANA
2008
Abstract
Si allude nel titolo ad un approccio relativamente tardivo di Baldacci critico a Leopardi. In realtà egli si avvaleva già nei suoi primi scritti di un valore comparatistico definito “indice leopardiano” che applicava agli autori allora studiati e amati, per sottolinearne la tinta cupa con cui guardavano alla realtà circostante. A cavallo degli anni settanta si infittiscono spunti critici personalissimi percepiti tuttavia come improponibili in un momento in cui il pensiero leopardiano era monopolizzato e, secondo lui, strumentalizzato, dopo l’idealismo crociano, dallo storicismo marxista. La scintilla che lo fa uscire allo scoperto è l’uscita editoriale su «Paragone» del 1976 dell’articolo di Mario Andrea Rigoni Leopardi e l’estetizzazione dell’antico che segna un modo nuovo di leggere Leopardi, materialista e nichilista insieme. Da allora Baldacci riflette con maggiore frequenza su Leopardi e vi trova le contraddizioni della vita, il rifiuto di false ricomposizioni, una mente lucidissima sì, ma nel distruggere un pensiero che si smentisce ad ogni nuova considerazione, ad ogni verifica del passato e del presente, che non si adegua alle idee correnti, e patisce la propria sempre cangiante verità. Proprio nel ’76 Baldacci inizia come docente universitario il primo dei suoi, poi ricorrenti, corsi leopardiani, e nel 1982 pubblica il saggio Due utopie di Leopardi: la società dei castori e il mondo della Ginestra e nel 1984 Leopardi o del paradosso, entrambi nell’«Antologia Vieusseux». Questi due contributi, basati in massima parte sullo Zibaldone, costituiranno il nucleo portante del suo libro Il male nell’ordine. Scritti leopardiani, che esce per Rizzoli nel 1998, completato da successivi articoli e recensioni e da un’ampia introduzione, Distanza da Leopardi, che, in quanto a paradossalità, non ha niente da invidiare al suo oggetto di indagine, al quale l’autore si sovrappone in maniera non certo inconsapevole. Segue a ruota un terzo saggio sull’«Antologia Vieusseux» (fascicolo gennaio-aprile 1998) intitolato Il nulla secondo Leopardi, conosciuto dai più nella ristampa che apre l’ultima silloge ottocentesca di Baldacci, Ottocento come noi. Saggi e pretesti italiani, pubblicata postuma ancora da Rizzoli nel 2003. Qui egli vuole ribadire con forza l’assenza in Leopardi di una coerenza negata a se stesso e al mondo, in polemica con chi vuole il poeta legato alle sue prime certezze e con chi, da parti critiche opposte, lo vede ancora in cammino verso un più maturo progressismo. Niente quindi da rivedere rispetto al suo Male nell’ordine, destinato per “voler del fato” a rimanere l’unico volume di Luigi Baldacci interamente dedicato a Leopardi.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.