Il contributo analizza alcuni aspetti del rapporto fra identità religiosa e violenza partendo da due assunti che rimarranno sullo sfondo dell’argomentazione e che non verranno tematizzati direttamente: il primo è che l’esperienza religiosa non possiede né l’esclusiva, né una sorta di legame privilegiato con la pratica della violenza collettiva; il secondo è che la violenza che insanguina il mondo contemporaneo non ha né esclusivamente, né prevalentemente una radice religiosa. Intendo, invece, argomentare in modo esplicito la tesi che ogni identità – individuale o di gruppo, morale o politica, etnica o religiosa – contiene un nucleo non negoziabile più o meno consistente e che è in questo nucleo non negoziabile che si radica la possibilità della violenza. Se e quando il conflitto su qualcosa di non negoziabile assuma forma violenta non può essere deciso una volta per tutte in base al tipo di identità, ma deve prendere in considerazione elementi più determinati e specifici dell’immagine del mondo e degli orizzonti di senso all’interno dei quali quella determinata identità si pensa e si colloca. È su questa base che cessa di essere paradossale il fenomeno, sovente trascurato da chi attribuisce alle religioni contemporanee la funzione di “dinamite dei popoli”, per cui non soltanto le religioni, ma anche, più in particolare, i monoteismi sono stati fonti significative di violenza e, al tempo stesso, contesti culturali che hanno espresso teorie e pratiche coerenti di non-violenza. Senza presupporre alcuna primazia della religione nella genesi dei conflitti violenti, l’interesse per la violenza religiosa si radica nell’esigenza di comprenderne le specifiche condizioni di possibilità e di individuare strategie praticabili di tolleranza e di neutralizzazione dei conflitti.
Religione e mondo. Percorsi della violenza e strategie di neutralizzazione / D. D'Andrea. - STAMPA. - (2011), pp. 66-111.
Religione e mondo. Percorsi della violenza e strategie di neutralizzazione
D'ANDREA, DIMITRI
2011
Abstract
Il contributo analizza alcuni aspetti del rapporto fra identità religiosa e violenza partendo da due assunti che rimarranno sullo sfondo dell’argomentazione e che non verranno tematizzati direttamente: il primo è che l’esperienza religiosa non possiede né l’esclusiva, né una sorta di legame privilegiato con la pratica della violenza collettiva; il secondo è che la violenza che insanguina il mondo contemporaneo non ha né esclusivamente, né prevalentemente una radice religiosa. Intendo, invece, argomentare in modo esplicito la tesi che ogni identità – individuale o di gruppo, morale o politica, etnica o religiosa – contiene un nucleo non negoziabile più o meno consistente e che è in questo nucleo non negoziabile che si radica la possibilità della violenza. Se e quando il conflitto su qualcosa di non negoziabile assuma forma violenta non può essere deciso una volta per tutte in base al tipo di identità, ma deve prendere in considerazione elementi più determinati e specifici dell’immagine del mondo e degli orizzonti di senso all’interno dei quali quella determinata identità si pensa e si colloca. È su questa base che cessa di essere paradossale il fenomeno, sovente trascurato da chi attribuisce alle religioni contemporanee la funzione di “dinamite dei popoli”, per cui non soltanto le religioni, ma anche, più in particolare, i monoteismi sono stati fonti significative di violenza e, al tempo stesso, contesti culturali che hanno espresso teorie e pratiche coerenti di non-violenza. Senza presupporre alcuna primazia della religione nella genesi dei conflitti violenti, l’interesse per la violenza religiosa si radica nell’esigenza di comprenderne le specifiche condizioni di possibilità e di individuare strategie praticabili di tolleranza e di neutralizzazione dei conflitti.File | Dimensione | Formato | |
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