Il lavoro si propone di analizzare la tutela a disposizione del creditore europeo, quando il credito sorga da un contratto di compravendita di merci o di servizi. L'analisi è condotta avendo riguardo a profili particolarmente sensibili sotto il profilo dell'effettività della tutela, quali la facilità di accesso alla giurisdizione, la rapidità di risposta giurisdizionale, la capacità di circolazione del provvedimento in seno all'Unione; un'attenzione particolare, in tale percorso, è riservata alla giurisprudenza della Corte di giustizia ed a quella nazionale di legittimità e di merito.Il riconoscimento all'interno degli Stati membri dell’efficacia diretta del diritto comunitario e la sua conseguente applicabilità da parte degli organi giurisdizionali senza la mediazione dei legislatori nazionali, rappresenta il momento a partire dal quale il sistema europeo ha concretamente affermato la propria effettività e segnato l’influenza che sarebbe stato destinato ad avere sugli ordinamenti statali. Tale principio, probabilmente incarnante la Grundnorm del sistema europeo, è stato uno dei frutti più fecondi della Corte di giustizia che nel corso della sua imponente opera creativa ha propriamente tessuto i <<principi giuridici generali sui quali è basato l’ordinamento giuridico comunitario>>. E’ in questo contesto che l’effettività della tutela si delinea come esigenza propria anche all’ordinamento europeo, quale principio tratto dalla <<tradizione costituzionale dei Paesi aderenti>> in cui è considerato immanente e quale emanazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Negli anni novanta, con la pronuncia Factortame, la Corte di giustizia sancisce la necessità di una tutela di natura urgente per le posizioni di diritto scaturenti dalla normativa europea, accogliendo l’esortazione dell’Avv. gen. Tesauro che nelle proprie conclusioni aveva esaltato efficacemente il ricorrere, anche in seno al sistema comunitario, dell’esigenza di scongiurare i rischi di danno con misure rapide e provvisorie, presenti, con denominazioni e caratteri diversi, in tutti gli ordinamenti degli Stati. La giustizia civile è stata la protagonista indiscussa del processo d’integrazione tra i Paesi appartenenti all’Unione ed il dibattito dottrinale ed istituzionale sul tema è stato recentemente rivitalizzato dal Trattato di Lisbona che, proseguendo nell’azione successiva al Trattato di Amsterdam , ha posto al proprio centro ancora le politiche volte a potenziare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia in seno alla comunità. L’arricchimento degli strumenti di cooperazione giudiziaria è stata la risposta all’aspirazione ad una crescente completezza che il sistema giurisdizionale ha maturato, in particolare, nel corso degli ultimi quindici anni. L’attuale stato dell’evoluzione dell’ordinamento comunitario, impone che l’attuazione ed esecuzione dei diritti resti affidata agli ordinamenti interni, nell’ambito di un’autonomia procedurale dai contorni in discussione. E’, tuttavia, assai chiaro alla Comunità, che la diversità degli strumenti processuali previsti dai sistemi statali ed il diverso grado di efficienza dei medesimi, implichi importanti ricadute sul mercato interno, importando distorsioni anche nella concorrenza, per lo squilibrio nel funzionamento dei mezzi procedurali a disposizione degli operatori. Il concetto comunitario di tutela effettiva sta, dunque divenendo più complesso e pare assumere, almeno in una prospettiva futuribile, la necessità di attuare la parità delle condizioni ed un’equivalenza della tutela all’interno degli Stati, nella consapevolezza che il divario nel grado di efficienza dei sistemi rappresenta uno dei maggiori ostacoli all’integrazione e armonizzazione in seno alla comunità. La previsione di norme procedurali minime -conformi al principio di uguaglianza e non discriminazione sancito dall’art. 12 del Trattato- ha già preso forma nei Regolamenti 805/04 e 1896/06 ed incarna la volontà e la necessità di promuovere l’elevazione ed il miglioramento del livello di tutela in seno al bacino europeo quale obiettivo immanente al sistema. In quest’ottica, la Comunità ha intrapreso lo sforzo di differenziare gli strumenti di protezione, secondo una necessità ben nota agli ordinamenti interni ed a cui questi hanno cercato di rispondere nella storia più recente del processo civile. Evidenti sono le difficoltà che si presentano in prospettiva europea, dove la promozione di uno standard di tutela deve, tra l’altro, misurarsi con le differenze esistenti tra i Paesi dell’Unione, le quali non soltanto riguardano la funzionalità ed efficienza degli apparati, ma anche le tradizioni e la mentalità giuridiche. Le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 hanno rappresentato una sorta di piattaforma programmatica, da cui è scaturita l’esortazione alle istituzioni europee a stabilire <<specifiche norme procedurali comuni per semplificare ed accelerare la composizione delle controversie transnazionali di piccola entità in materia commerciale e riguardanti i consumatori, nonché le cause relative alle prestazioni alimentari e in materia di crediti non contestati>> e l’auspicio ad una nuova legislazione procedurale nelle cause intracomunitarie in materia, ad esempio, di ordini di pagamento. Particolare attenzione è richiamata dal tema della tutela transfrontaliera del credito commerciale, per le importanti ricadute che l’adeguato funzionamento dei rimedi giurisdizionali in quest’area ha sul mercato interno. Le statistiche dimostrano come i Paesi con forte tendenza all’esportazione siano anche quelli che soffrono di un elevato grado di morosità, circostanza questa che colpisce la fiducia degli imprenditori e pone un freno allo sviluppo del commercio intracomunitario. La limitazione delle transazioni commerciali che deriva dall’incerta realizzazione del credito, rappresenta, dunque, un grave intralcio al successo del mercato unico e si pone in contrasto con l’articolo 14 del Trattato, secondo il quale gli operatori economici dovrebbero essere in grado di svolgere le proprie attività in condizioni tali da garantire che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi maggiori di quelle interne. Il ruolo chiave della questione è stato lucidamente espresso dalla Direttiva n. 35 del 29 giugno 2000 la quale ha sottolineato come il ritardo nei pagamenti imponga oneri amministrativi e finanziari alle imprese, in particolare a quelle di piccole e medie dimensioni, costituendo una tra le principali cause di insolvenza e perdita di posti di lavoro. In particolare le piccole imprese ed i singoli possono trovarsi in difficoltà pratiche ed economiche ad affrontare un contenzioso in un Paese diverso dal proprio, sia pure comunitario, connesse, in particolare, all’assistenza legale nello Stato straniero, alle difficoltà linguistiche, ai maggiori costi che siffatto contenzioso implica. Nell’ambito della protezione del credito, da una tormentata gestazione è, infine, nato il Regolamento CE 1346/2000 (modificato dal Regolamento 603/2005) concernente le procedure d’insolvenza e, dunque, destinato a disciplinare la vicenda creditoria nel momento di patologica crisi economico-finanziaria della parte debitrice. Nella direzione tracciata a Tampere circa le facilitazioni per il recupero giudiziale del credito, si inquadra il Regolamento 805/2004 sul titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati. L’adozione di tale misura aveva, almeno in un primo tempo, sembrato alludere alla creazione di un istituto interamente previsto e regolato dal diritto comunitario in virtù della competenza legislativa che l’art. 65 del Trattato CE conferisce alla Comunità nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato interno. L’esito del dibattito è stato, com’è noto, di segno differente e si è risolto anziché in un’europeizzazione della procedura, in un’europeizzazione degli effetti di un titolo esecutivo nazionale. La creazione di un istituto a fonte europea è stata, invece, realizzata con il Regolamento CE 1896/2006 sul decreto ingiuntivo europeo, definito nel quarto considerando <<un procedimento speciale, uniforme e armonizzato>>, e con il Regolamento 861/2007 sul procedimento europeo per le controversie di modesta entità. Verso un’Europa senza exequatur è la stagione inaugurata da questi corpi normativi, prima in un unico settore sperimentale, quello del recupero del credito, con il successivo intento di generalizzare a tutta la materia civile e commerciale l’abolizione del riconoscimento e dell’esecuzione, attraverso una modifica dello stesso Regolamento 44/01, già oggetto di una proposta da parte della Commissione. Nell’apprezzabile sforzo legislativo, sempre supportato dalla preziosa attività interpretativa della Corte di giustizia, l’operazione di recupero del credito nascente dal contratto che para dinanzi all’impresa resta, tuttavia, ancora irto di difficoltà, dispendioso e di dubbia fruttuosità ed inevitabile è chiedersi se i problemi che lo riguardano siano stati coerentemente affrontati rispetto alle chiare dichiarazioni programmatiche. Nell’ottica del creditore comunitario, il processo evolutivo degli strumenti processuali è stato condotto nel tentativo di sviluppare accanto alla tradizionale tutela a cognizione piena, una serie di strumenti rapidi, a cognizione sommaria, di natura urgente o non urgente. Le opportunità che si porgono all’azione del creditore-fornitore europeo allo stato attuale della legislazione, non sono dissimili a quelle aperte al creditore interno contemplando la possibilità di avvalersi della tutela ordinaria, di quella sommaria o di quella contrattuale, con le ovvie peculiarità discendenti dalla natura transfrontaliera del rapporto. La via ordinaria, diretta al conseguimento di una sentenza di condanna di pagamento a seguito di un processo di cognizione, risente sensibilmente delle possibilità giurisdizionali fruibili dal creditore-attore, che si giocano tra il foro generale stabilito dall’art. 2 del Reg. 44/2001, quello alternativo previsto dall’art. 5, n. 1 e, in certi casi, quello regolato dall’art. 5, n. 5. La via sommaria, abbraccia i provvedimenti <<provvisori o cautelari>> nei limiti e con le possibilità di circolazione discendenti dall’art. 31 del Reg. 44/2001 (art. 24 Conv. Bruxelles) ed offre oggi anche la possibilità di certificare un titolo esecutivo nazionale quale titolo esecutivo europeo o di ottenere un’ingiunzione europea. La via contrattuale, consta della possibilità di ottenere il riconoscimento e l’esecuzione di atti autentici ricevuti da notaio aventi efficacia esecutiva nello Stato d’origine in virtù dell’art. 57 Reg. 44/2001, analogamente a quanto previsto dall’art. 68 L. 218/1995, ovvero il riconoscimento di debito da parte dello stesso debitore ai sensi dell’art. 3, lett. d) del Reg. 805/2004. L’indagine svolta nel testo riguarda l’analisi di suddette possibilità di protezione avendo riguardo a profili particolarmente sensibili sotto il profilo dell’effettività della tutela: la facilità di accesso alla giurisdizione, la rapidità della tutela, la capacità di circolazione dei provvedimenti in seno alla Comunità.

La tutela del credito contrattuale nell'Unione Europea. Dalla domanda al riconoscimento ed esecuzione del provvedimento giudiziale / C. Silvestri. - STAMPA. - (2011), pp. 11-390.

La tutela del credito contrattuale nell'Unione Europea. Dalla domanda al riconoscimento ed esecuzione del provvedimento giudiziale

SILVESTRI, CATERINA
2011

Abstract

Il lavoro si propone di analizzare la tutela a disposizione del creditore europeo, quando il credito sorga da un contratto di compravendita di merci o di servizi. L'analisi è condotta avendo riguardo a profili particolarmente sensibili sotto il profilo dell'effettività della tutela, quali la facilità di accesso alla giurisdizione, la rapidità di risposta giurisdizionale, la capacità di circolazione del provvedimento in seno all'Unione; un'attenzione particolare, in tale percorso, è riservata alla giurisprudenza della Corte di giustizia ed a quella nazionale di legittimità e di merito.Il riconoscimento all'interno degli Stati membri dell’efficacia diretta del diritto comunitario e la sua conseguente applicabilità da parte degli organi giurisdizionali senza la mediazione dei legislatori nazionali, rappresenta il momento a partire dal quale il sistema europeo ha concretamente affermato la propria effettività e segnato l’influenza che sarebbe stato destinato ad avere sugli ordinamenti statali. Tale principio, probabilmente incarnante la Grundnorm del sistema europeo, è stato uno dei frutti più fecondi della Corte di giustizia che nel corso della sua imponente opera creativa ha propriamente tessuto i <>. E’ in questo contesto che l’effettività della tutela si delinea come esigenza propria anche all’ordinamento europeo, quale principio tratto dalla <> in cui è considerato immanente e quale emanazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Negli anni novanta, con la pronuncia Factortame, la Corte di giustizia sancisce la necessità di una tutela di natura urgente per le posizioni di diritto scaturenti dalla normativa europea, accogliendo l’esortazione dell’Avv. gen. Tesauro che nelle proprie conclusioni aveva esaltato efficacemente il ricorrere, anche in seno al sistema comunitario, dell’esigenza di scongiurare i rischi di danno con misure rapide e provvisorie, presenti, con denominazioni e caratteri diversi, in tutti gli ordinamenti degli Stati. La giustizia civile è stata la protagonista indiscussa del processo d’integrazione tra i Paesi appartenenti all’Unione ed il dibattito dottrinale ed istituzionale sul tema è stato recentemente rivitalizzato dal Trattato di Lisbona che, proseguendo nell’azione successiva al Trattato di Amsterdam , ha posto al proprio centro ancora le politiche volte a potenziare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia in seno alla comunità. L’arricchimento degli strumenti di cooperazione giudiziaria è stata la risposta all’aspirazione ad una crescente completezza che il sistema giurisdizionale ha maturato, in particolare, nel corso degli ultimi quindici anni. L’attuale stato dell’evoluzione dell’ordinamento comunitario, impone che l’attuazione ed esecuzione dei diritti resti affidata agli ordinamenti interni, nell’ambito di un’autonomia procedurale dai contorni in discussione. E’, tuttavia, assai chiaro alla Comunità, che la diversità degli strumenti processuali previsti dai sistemi statali ed il diverso grado di efficienza dei medesimi, implichi importanti ricadute sul mercato interno, importando distorsioni anche nella concorrenza, per lo squilibrio nel funzionamento dei mezzi procedurali a disposizione degli operatori. Il concetto comunitario di tutela effettiva sta, dunque divenendo più complesso e pare assumere, almeno in una prospettiva futuribile, la necessità di attuare la parità delle condizioni ed un’equivalenza della tutela all’interno degli Stati, nella consapevolezza che il divario nel grado di efficienza dei sistemi rappresenta uno dei maggiori ostacoli all’integrazione e armonizzazione in seno alla comunità. La previsione di norme procedurali minime -conformi al principio di uguaglianza e non discriminazione sancito dall’art. 12 del Trattato- ha già preso forma nei Regolamenti 805/04 e 1896/06 ed incarna la volontà e la necessità di promuovere l’elevazione ed il miglioramento del livello di tutela in seno al bacino europeo quale obiettivo immanente al sistema. In quest’ottica, la Comunità ha intrapreso lo sforzo di differenziare gli strumenti di protezione, secondo una necessità ben nota agli ordinamenti interni ed a cui questi hanno cercato di rispondere nella storia più recente del processo civile. Evidenti sono le difficoltà che si presentano in prospettiva europea, dove la promozione di uno standard di tutela deve, tra l’altro, misurarsi con le differenze esistenti tra i Paesi dell’Unione, le quali non soltanto riguardano la funzionalità ed efficienza degli apparati, ma anche le tradizioni e la mentalità giuridiche. Le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 hanno rappresentato una sorta di piattaforma programmatica, da cui è scaturita l’esortazione alle istituzioni europee a stabilire <> e l’auspicio ad una nuova legislazione procedurale nelle cause intracomunitarie in materia, ad esempio, di ordini di pagamento. Particolare attenzione è richiamata dal tema della tutela transfrontaliera del credito commerciale, per le importanti ricadute che l’adeguato funzionamento dei rimedi giurisdizionali in quest’area ha sul mercato interno. Le statistiche dimostrano come i Paesi con forte tendenza all’esportazione siano anche quelli che soffrono di un elevato grado di morosità, circostanza questa che colpisce la fiducia degli imprenditori e pone un freno allo sviluppo del commercio intracomunitario. La limitazione delle transazioni commerciali che deriva dall’incerta realizzazione del credito, rappresenta, dunque, un grave intralcio al successo del mercato unico e si pone in contrasto con l’articolo 14 del Trattato, secondo il quale gli operatori economici dovrebbero essere in grado di svolgere le proprie attività in condizioni tali da garantire che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi maggiori di quelle interne. Il ruolo chiave della questione è stato lucidamente espresso dalla Direttiva n. 35 del 29 giugno 2000 la quale ha sottolineato come il ritardo nei pagamenti imponga oneri amministrativi e finanziari alle imprese, in particolare a quelle di piccole e medie dimensioni, costituendo una tra le principali cause di insolvenza e perdita di posti di lavoro. In particolare le piccole imprese ed i singoli possono trovarsi in difficoltà pratiche ed economiche ad affrontare un contenzioso in un Paese diverso dal proprio, sia pure comunitario, connesse, in particolare, all’assistenza legale nello Stato straniero, alle difficoltà linguistiche, ai maggiori costi che siffatto contenzioso implica. Nell’ambito della protezione del credito, da una tormentata gestazione è, infine, nato il Regolamento CE 1346/2000 (modificato dal Regolamento 603/2005) concernente le procedure d’insolvenza e, dunque, destinato a disciplinare la vicenda creditoria nel momento di patologica crisi economico-finanziaria della parte debitrice. Nella direzione tracciata a Tampere circa le facilitazioni per il recupero giudiziale del credito, si inquadra il Regolamento 805/2004 sul titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati. L’adozione di tale misura aveva, almeno in un primo tempo, sembrato alludere alla creazione di un istituto interamente previsto e regolato dal diritto comunitario in virtù della competenza legislativa che l’art. 65 del Trattato CE conferisce alla Comunità nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato interno. L’esito del dibattito è stato, com’è noto, di segno differente e si è risolto anziché in un’europeizzazione della procedura, in un’europeizzazione degli effetti di un titolo esecutivo nazionale. La creazione di un istituto a fonte europea è stata, invece, realizzata con il Regolamento CE 1896/2006 sul decreto ingiuntivo europeo, definito nel quarto considerando <>, e con il Regolamento 861/2007 sul procedimento europeo per le controversie di modesta entità. Verso un’Europa senza exequatur è la stagione inaugurata da questi corpi normativi, prima in un unico settore sperimentale, quello del recupero del credito, con il successivo intento di generalizzare a tutta la materia civile e commerciale l’abolizione del riconoscimento e dell’esecuzione, attraverso una modifica dello stesso Regolamento 44/01, già oggetto di una proposta da parte della Commissione. Nell’apprezzabile sforzo legislativo, sempre supportato dalla preziosa attività interpretativa della Corte di giustizia, l’operazione di recupero del credito nascente dal contratto che para dinanzi all’impresa resta, tuttavia, ancora irto di difficoltà, dispendioso e di dubbia fruttuosità ed inevitabile è chiedersi se i problemi che lo riguardano siano stati coerentemente affrontati rispetto alle chiare dichiarazioni programmatiche. Nell’ottica del creditore comunitario, il processo evolutivo degli strumenti processuali è stato condotto nel tentativo di sviluppare accanto alla tradizionale tutela a cognizione piena, una serie di strumenti rapidi, a cognizione sommaria, di natura urgente o non urgente. Le opportunità che si porgono all’azione del creditore-fornitore europeo allo stato attuale della legislazione, non sono dissimili a quelle aperte al creditore interno contemplando la possibilità di avvalersi della tutela ordinaria, di quella sommaria o di quella contrattuale, con le ovvie peculiarità discendenti dalla natura transfrontaliera del rapporto. La via ordinaria, diretta al conseguimento di una sentenza di condanna di pagamento a seguito di un processo di cognizione, risente sensibilmente delle possibilità giurisdizionali fruibili dal creditore-attore, che si giocano tra il foro generale stabilito dall’art. 2 del Reg. 44/2001, quello alternativo previsto dall’art. 5, n. 1 e, in certi casi, quello regolato dall’art. 5, n. 5. La via sommaria, abbraccia i provvedimenti <> nei limiti e con le possibilità di circolazione discendenti dall’art. 31 del Reg. 44/2001 (art. 24 Conv. Bruxelles) ed offre oggi anche la possibilità di certificare un titolo esecutivo nazionale quale titolo esecutivo europeo o di ottenere un’ingiunzione europea. La via contrattuale, consta della possibilità di ottenere il riconoscimento e l’esecuzione di atti autentici ricevuti da notaio aventi efficacia esecutiva nello Stato d’origine in virtù dell’art. 57 Reg. 44/2001, analogamente a quanto previsto dall’art. 68 L. 218/1995, ovvero il riconoscimento di debito da parte dello stesso debitore ai sensi dell’art. 3, lett. d) del Reg. 805/2004. L’indagine svolta nel testo riguarda l’analisi di suddette possibilità di protezione avendo riguardo a profili particolarmente sensibili sotto il profilo dell’effettività della tutela: la facilità di accesso alla giurisdizione, la rapidità della tutela, la capacità di circolazione dei provvedimenti in seno alla Comunità.
2011
9788838769283
11
390
C. Silvestri
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