La lettura si propone l’analisi della canz. 125, Se ’l pensier che mi strugge, dei Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca, nella quale il record metrico, per il più alto numero di settenari presente in ogni stanza, si combina con quello formale, per la più alta percentuale di rime aspre, cioè a elevata densità consonantica, soprattutto concentrata nelle prime tre strofe: una combinazione, questa, che comporta il conferimento al settenario da parte di Petrarca di uno statuto ritmico e di una fisionomia stilistica improntata all’asprezza e richiede la verifica se ad essa corrisponda, come in Dante petroso, un effettivo mutamento di poetica. Se l’indagine condotta sul piano metrico, avvalendosi anche di osservazioni di altri studiosi (di I. Baldelli sul settenario dantesco e di M. Praloran e S. Bozzola, sui caratteri prosodico-ritmici della canz. 125 e in generale delle canzoni petrarchesche, strutturalmente affini all’articolazione strofica delle rime petrose), porta non solo a ribadire la suggestione esercitata da Dante sul testo petrarchesco, ma anche a individuare lo specifico contributo metrico di due canzoni dantesche, Io son venuto al punto della rota e Così nel mio parlar vogl’esser aspro; la lettura del testo evidenzia dal canto suo, grazie alla mediazione di altre rime (come la canz. 70 e i son. 95-96, a loro volta in relazione con le canz. 125 e 70 e con due almeno delle tre canzoni degli occhi) il profondo rapporto tra il testo dell’asprezza forzata di Petrarca e quello dell’asprezza volitiva di Dante, non per nulla citato nel cuore della canz. 70, preambolo delle cantilene oculorum. La quale canz. 70 presenta con la canz. 125 un certo numero di affinità anche sul piano strutturale, per il fatto di inaugurare due serie ininterrotte di metri lunghi, al cui interno si individuano componimenti legati da contiguità fraterna, come le tre canzoni ‘sorelle’ 71-73 e appunto la coppia delle canzoni ‘rozze’, 125-126. L’interpretazione proposta della canz. 125, alla luce della trilogia degli occhi e in particolare della sua ultima componente, la canz. 73, nella persistenza delle suggestioni petrose che includono anche echi della Montanina dantesca, fa emergere la negatività delle “rime di dolcezza ignude”, percepite dal poeta come effetto di imperizia (a differenza di Dante della canzone sestina e della sua baldanzosa affermazione della nuova parola) e come responsabili della situazione di stallo che il testo illustra fino alla svolta (anche rimica) della quarta stanza. A partire da questa si individua difatti l’inizio di una celebrazione della donna, petrosamente sorda al messaggio dell’amante, che poggia sulla poetica dei luoghi sostitutivi di lei e comporta l’appello all’ascolto rivolto alla natura. Questa celebrazione dell’assente, dopo quella della terna degli occhi condotta in presenza di madonna, costituisce anche un imprescindibile preambolo alle due grandi canzoni del seguito del quintetto aperto dalla 125, In quella parte dove Amor mi sprona e Di pensier in pensier, di monte in monte: confrontandone il dettato con quello della prima canzone di lontananza, la 37 dei Rerum vulgarium fragmenta, Sì è debile il filo a cui s’attene, non poco implicata coi testi del quintetto, esse mostrano lo scarto compiuto nel tornare a trattare il tema della lontananza e della nostalgia.

Sulla canzone 'sorella', "Se 'l pensier che mi strugge" (Rerum vulgarium fragmenta 125) / C. Molinari. - STAMPA. - (2012), pp. 467-489.

Sulla canzone 'sorella', "Se 'l pensier che mi strugge" (Rerum vulgarium fragmenta 125)

MOLINARI, CARLA
2012

Abstract

La lettura si propone l’analisi della canz. 125, Se ’l pensier che mi strugge, dei Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca, nella quale il record metrico, per il più alto numero di settenari presente in ogni stanza, si combina con quello formale, per la più alta percentuale di rime aspre, cioè a elevata densità consonantica, soprattutto concentrata nelle prime tre strofe: una combinazione, questa, che comporta il conferimento al settenario da parte di Petrarca di uno statuto ritmico e di una fisionomia stilistica improntata all’asprezza e richiede la verifica se ad essa corrisponda, come in Dante petroso, un effettivo mutamento di poetica. Se l’indagine condotta sul piano metrico, avvalendosi anche di osservazioni di altri studiosi (di I. Baldelli sul settenario dantesco e di M. Praloran e S. Bozzola, sui caratteri prosodico-ritmici della canz. 125 e in generale delle canzoni petrarchesche, strutturalmente affini all’articolazione strofica delle rime petrose), porta non solo a ribadire la suggestione esercitata da Dante sul testo petrarchesco, ma anche a individuare lo specifico contributo metrico di due canzoni dantesche, Io son venuto al punto della rota e Così nel mio parlar vogl’esser aspro; la lettura del testo evidenzia dal canto suo, grazie alla mediazione di altre rime (come la canz. 70 e i son. 95-96, a loro volta in relazione con le canz. 125 e 70 e con due almeno delle tre canzoni degli occhi) il profondo rapporto tra il testo dell’asprezza forzata di Petrarca e quello dell’asprezza volitiva di Dante, non per nulla citato nel cuore della canz. 70, preambolo delle cantilene oculorum. La quale canz. 70 presenta con la canz. 125 un certo numero di affinità anche sul piano strutturale, per il fatto di inaugurare due serie ininterrotte di metri lunghi, al cui interno si individuano componimenti legati da contiguità fraterna, come le tre canzoni ‘sorelle’ 71-73 e appunto la coppia delle canzoni ‘rozze’, 125-126. L’interpretazione proposta della canz. 125, alla luce della trilogia degli occhi e in particolare della sua ultima componente, la canz. 73, nella persistenza delle suggestioni petrose che includono anche echi della Montanina dantesca, fa emergere la negatività delle “rime di dolcezza ignude”, percepite dal poeta come effetto di imperizia (a differenza di Dante della canzone sestina e della sua baldanzosa affermazione della nuova parola) e come responsabili della situazione di stallo che il testo illustra fino alla svolta (anche rimica) della quarta stanza. A partire da questa si individua difatti l’inizio di una celebrazione della donna, petrosamente sorda al messaggio dell’amante, che poggia sulla poetica dei luoghi sostitutivi di lei e comporta l’appello all’ascolto rivolto alla natura. Questa celebrazione dell’assente, dopo quella della terna degli occhi condotta in presenza di madonna, costituisce anche un imprescindibile preambolo alle due grandi canzoni del seguito del quintetto aperto dalla 125, In quella parte dove Amor mi sprona e Di pensier in pensier, di monte in monte: confrontandone il dettato con quello della prima canzone di lontananza, la 37 dei Rerum vulgarium fragmenta, Sì è debile il filo a cui s’attene, non poco implicata coi testi del quintetto, esse mostrano lo scarto compiuto nel tornare a trattare il tema della lontananza e della nostalgia.
2012
9788882329334
L'entusiasmo delle opere. Studi in memoria di Domenico De Robertis, a cura di I.Becherucci, S.Giusti, N.Tonelli, redazione di F.Latini
467
489
C. Molinari
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/648465
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