Questo studio è stato condotto utilizzando un questionario che ha consentito di raccogliere numerose informazioni provenienti dalle risposte sia alle domande “chiuse”, fornite per quasi tutti i quesiti, sia a quelle “aperte” che, anche se sono state trascurate da qualche compilatore, hanno chiarito l’orientamento e il comportamento dei musei riguardo ai rapporti con gli stakeholder e alla rendicontazione sociale. Va segnalato che nel questionario sono state inserite alcune domande “incrociate” le cui risposte hanno evidenziato talune incoerenze. Una di queste è stata riscontrata confrontando l’elenco degli interlocutori con cui il museo ha attivato occasioni di confronto con quello dei soggetti ai quali ha rivolto la comunicazione: sono appunto presenti delle divergenze. Tuttavia, queste inesattezze si sono manifestate in misura molto limitata e comunque tale da non inficiare l’analisi dei risultati. Questa prima indagine sull’orientamento alla rendicontazione nei musei italiani ha fatto emergere l’attenzione verso il confronto con gli stakeholder interni e esterni: tutte le unità riconoscono la sua rilevanza, anche quelle che ancora non hanno creato occasioni di dialogo con essi. È stata inoltre riscontrata sia l’esistenza del sistema informativo, sia l’attivazione del processo di comunicazione nella quasi totalità dei musei; andrebbe però approfondita la loro analisi per comprendere quanto siano frutto del ruolo ricoperto dall’amministrazione pubblica di appartenenza, se presente. Inoltre, va considerato che la comunicazione, alla quale viene riconosciuta molta rilevanza, di fatto è per lo più unilaterale e solo in pochi casi si trasforma in un dialogo circoscritto a specifiche categorie di interlocutori. Invece l’utilizzo di forme di rendicontazione sociale è contenuto. Un numero limitato di musei redige il bilancio sociale o quello di missione o altro ancora con rigore di metodo, con continuità, verificandone il gradimento e sottoponendolo ad un controllo di attendibilità. In questi casi la sua stesura è curata da personale interno, eventualmente coadiuvato da esperti esterni. Queste informazioni, da un lato, testimoniano che è ancora poco diffusa una cultura di rendicontazione sociale e che è carente la formazione sui suoi requisiti, dall’altro, dimostrano che c’è interesse per essa tenuto conto soprattutto dei benefici che può originare. Proprio questi stimolano alcuni musei che non l’hanno già adottata a predisporla in futuro. I maggiori ostacoli che ne hanno frenato lo sviluppo sono stati individuati nella carenza di personale competente e nella scarsità di risorse finanziarie. Da quanto è emerso circa l’orientamento alla rendicontazione sociale volontaria è possibile articolare le ragioni per le quali alcune delle teorie introdotte nel secondo paragrafo giocano un ruolo maggiore rispetto ad altre. Le risposte ricevute al questionario hanno evidenziato un ruolo di primo piano esercitato dalla stakeholder theory, in particolare per quel che concerne la necessità di informare gli interlocutori sulle attività svolte. Tale obiettivo non è sempre perseguito con coerenza da parte dei musei che redigono una qualche forma di report sociale o di missione, poiché le categorie individuate non sono di fatto quelle coinvolte o raggiunte da tale processo rendicontativo. Tuttavia è evidente come la direzione riconosca agli stakeholder un ruolo di primo piano, tanto da sentire il dovere di migliorare il rapporto con alcuni di loro, sfruttando il bilancio sociale come strumento di contatto e talvolta coinvolgimento. In vari musei, inoltre, è riscontrabile la volontà di segnalare alla comunità di riferimento, più precisamente all’ente pubblico di appartenenza e ad alcuni interlocutori esterni, il proprio impegno a favore della tutela e promozione della cultura, dell’arte e della scienza (a seconda della tipologia di museo). In questo senso anche la signaling theory sembra rivestire un ruolo strategico, anche se non di primissimo piano, nell’orientamento alla rendicontazione sociale e di missione dei musei aderenti alla ricerca. Difficile da valutare con puntualità è il ruolo rivestito dalla institutional theory, poiché nessuno dei musei indagati ha manifestato l’interesse verso la rendicontazione sociale giustificandolo con la necessità di adattarsi ad un ambiente generale e specifico che sempre di più richiede una tale forma di accountability esterna. Trattandosi per lo più di organizzazioni appartenenti alle PA, è legittimo attendersi un ruolo significativo di tale teoria, data la loro presunta necessità di rendere conto alla comunità di riferimento sul proprio mandato amministrativo. Tuttavia, l’assenza di elementi indiziari o probativi ad hoc non necessariamente implica un ruolo marginale di tale corrente teorica; infatti, talune risposte fornite potrebbero essere rilette alla luce di un contesto sociale, culturale e anche normativo che da un lato stimola, ma che dall’altro non supporta e non premia la rendicontazione sociale. Invece, contrariamente alle attese, un ruolo non del tutto trascurabile è svolto dalla legitimacy theory con riferimento ai musei che dichiarano di orientarsi alla rendicontazione sociale per migliorare la propria immagine al fine di guadagnare consenso e supporto fra gli stakeholder. In precedenza erano state supposte scarse evidenze di tale corrente teorica in un contesto di organizzazioni senza finalità di lucro perseguenti interessi di pubblica utilità, viceversa talune risposte sembrano suggerire proprio le chiavi interpretative della legitimacy theory Probabilmente, in una situazione connotata da risorse umane e finanziarie insufficienti, il rafforzamento dell’immagine rappresenta un elemento necessario al fine di accrescere la legittimazione soprattutto presso il pubblico, gli operatori culturali nazionali e internazionali, i finanziatori, gli attori economici e non economici del territorio. Infine, dall’analisi dei questionari pervenuti, non emerge alcun elemento a sostegno della assurance theory, poiché nessuna unità segnala, esplicitamente o implicitamente, di effettuare forme di rendicontazione sociale volontaria asseverata per rafforzare la propria credibilità come ente con processi rendicontativi “certificati”. Del resto l’asseverazione della rendicontazione sociale o di missione è un elemento sostanzialmente estraneo alla cultura della realtà indagata. Alla luce dei risultati esposti è necessario aggiungere una ulteriore giustificazione, non sempre adeguatamente trattata dalla letteratura sull’argomento, all’orientamento alla rendicontazione sociale nei musei: la possibilità di adottare questo strumento come meccanismo operativo volto all’apprendimento e crescita interni. Si tratta di un aspetto spesso trascurato ma coerente con i principi propri della letteratura economico-aziendale. Considerando il bilancio sociale – in una interpretazione estesa degli obblighi rendicontativi minimi previsti – un documento da affiancare al bilancio tradizionale ed essendo quest’ultimo uno dei tanti strumenti del controllo direzionale, anche al primo è corretto attribuire la stessa funzione. In definitiva, dai risultati ottenuti sembra che i musei rispondenti adottino – o vogliano adottare in futuro – forme di rendicontazione sociale e di missione per una particolare combinazione delle teorie sopra richiamate, con una maggiore evidenza di alcune di esse (e.g. stakeholder, signaling e legitimacy theory) e con l’aggiunta del bilancio sociale come meccanismo “operativo”. Per altre teorie (e.g. institutional theory) è difficile, sulla base delle risposte ricevute, interpretare il ruolo da esse svolto oppure la loro funzione è sicuramente marginale (e.g. assurance theory). Le argomentazioni esposte soffrono ovviamente di alcuni limiti della ricerca condotta. In primo luogo, come già notato, non è possibile estendere ad un universo ampio ed eterogeneo, qual è quello dei musei italiani, i risultati di un "gruppo di rispondenti" che manifesta evidenti distorsioni sistematiche derivanti dalla sua limitata dimensione imputabile presumibilmente ad una carenza di sensibilità ancora molto presente verso le tematiche oggetto di analisi. A ciò si aggiunga che nell’indagine non è stata specificatamente indagata la qualità della rendicontazione sociale o di missione volontaria, ma soltanto la propensione verso tale strumento. Infine, come qualsiasi ricerca di tipo “survey”, anche questo studio risente di potenziali debolezze intrinseche quali l’incompletezza o la parzialità del questionario predisposto, la propensione individuale a rispondere in maniera sincera ed esaustiva alle domande e l’interpretazione soggettiva dei risultati da parte del team di ricerca. Le osservazioni emerse suggeriscono comunque riflessioni utili per delineare ipotesi di future ricerche e approfondimenti che potranno essere sviluppati a distanza di un ragionevole intervallo di tempo in due direzioni. Da un lato, può essere condotto l’esame - all’interno dei musei che già adottano una qualche forma di rendicontazione sociale o di missione - della relazione esistente fra tale processo e il miglioramento delle proprie performance sociali o istituzionali, anche alla luce della dichiarata funzione di meccanismo operativo per l’apprendimento e crescita interni di questo strumento. Dall’altro, può essere indagato - relativamente ai rapporti fra il museo e i suoi stakeholder - se, a seguito di pressioni esercitate da fonti istituzionali e da organismi di settore italiani e/o stranieri nonché dalla prassi internazionale, si è diffusa l’adozione di forme di rendicontazione sociale, vincendo così le attuali forti resistenze.

L’orientamento alla rendicontazione sociale nei musei italiani / G. Manetti; B. Sibilio. - STAMPA. - (2014), pp. 221-252.

L’orientamento alla rendicontazione sociale nei musei italiani

MANETTI, GIACOMO;SIBILIO, BARBARA
2014

Abstract

Questo studio è stato condotto utilizzando un questionario che ha consentito di raccogliere numerose informazioni provenienti dalle risposte sia alle domande “chiuse”, fornite per quasi tutti i quesiti, sia a quelle “aperte” che, anche se sono state trascurate da qualche compilatore, hanno chiarito l’orientamento e il comportamento dei musei riguardo ai rapporti con gli stakeholder e alla rendicontazione sociale. Va segnalato che nel questionario sono state inserite alcune domande “incrociate” le cui risposte hanno evidenziato talune incoerenze. Una di queste è stata riscontrata confrontando l’elenco degli interlocutori con cui il museo ha attivato occasioni di confronto con quello dei soggetti ai quali ha rivolto la comunicazione: sono appunto presenti delle divergenze. Tuttavia, queste inesattezze si sono manifestate in misura molto limitata e comunque tale da non inficiare l’analisi dei risultati. Questa prima indagine sull’orientamento alla rendicontazione nei musei italiani ha fatto emergere l’attenzione verso il confronto con gli stakeholder interni e esterni: tutte le unità riconoscono la sua rilevanza, anche quelle che ancora non hanno creato occasioni di dialogo con essi. È stata inoltre riscontrata sia l’esistenza del sistema informativo, sia l’attivazione del processo di comunicazione nella quasi totalità dei musei; andrebbe però approfondita la loro analisi per comprendere quanto siano frutto del ruolo ricoperto dall’amministrazione pubblica di appartenenza, se presente. Inoltre, va considerato che la comunicazione, alla quale viene riconosciuta molta rilevanza, di fatto è per lo più unilaterale e solo in pochi casi si trasforma in un dialogo circoscritto a specifiche categorie di interlocutori. Invece l’utilizzo di forme di rendicontazione sociale è contenuto. Un numero limitato di musei redige il bilancio sociale o quello di missione o altro ancora con rigore di metodo, con continuità, verificandone il gradimento e sottoponendolo ad un controllo di attendibilità. In questi casi la sua stesura è curata da personale interno, eventualmente coadiuvato da esperti esterni. Queste informazioni, da un lato, testimoniano che è ancora poco diffusa una cultura di rendicontazione sociale e che è carente la formazione sui suoi requisiti, dall’altro, dimostrano che c’è interesse per essa tenuto conto soprattutto dei benefici che può originare. Proprio questi stimolano alcuni musei che non l’hanno già adottata a predisporla in futuro. I maggiori ostacoli che ne hanno frenato lo sviluppo sono stati individuati nella carenza di personale competente e nella scarsità di risorse finanziarie. Da quanto è emerso circa l’orientamento alla rendicontazione sociale volontaria è possibile articolare le ragioni per le quali alcune delle teorie introdotte nel secondo paragrafo giocano un ruolo maggiore rispetto ad altre. Le risposte ricevute al questionario hanno evidenziato un ruolo di primo piano esercitato dalla stakeholder theory, in particolare per quel che concerne la necessità di informare gli interlocutori sulle attività svolte. Tale obiettivo non è sempre perseguito con coerenza da parte dei musei che redigono una qualche forma di report sociale o di missione, poiché le categorie individuate non sono di fatto quelle coinvolte o raggiunte da tale processo rendicontativo. Tuttavia è evidente come la direzione riconosca agli stakeholder un ruolo di primo piano, tanto da sentire il dovere di migliorare il rapporto con alcuni di loro, sfruttando il bilancio sociale come strumento di contatto e talvolta coinvolgimento. In vari musei, inoltre, è riscontrabile la volontà di segnalare alla comunità di riferimento, più precisamente all’ente pubblico di appartenenza e ad alcuni interlocutori esterni, il proprio impegno a favore della tutela e promozione della cultura, dell’arte e della scienza (a seconda della tipologia di museo). In questo senso anche la signaling theory sembra rivestire un ruolo strategico, anche se non di primissimo piano, nell’orientamento alla rendicontazione sociale e di missione dei musei aderenti alla ricerca. Difficile da valutare con puntualità è il ruolo rivestito dalla institutional theory, poiché nessuno dei musei indagati ha manifestato l’interesse verso la rendicontazione sociale giustificandolo con la necessità di adattarsi ad un ambiente generale e specifico che sempre di più richiede una tale forma di accountability esterna. Trattandosi per lo più di organizzazioni appartenenti alle PA, è legittimo attendersi un ruolo significativo di tale teoria, data la loro presunta necessità di rendere conto alla comunità di riferimento sul proprio mandato amministrativo. Tuttavia, l’assenza di elementi indiziari o probativi ad hoc non necessariamente implica un ruolo marginale di tale corrente teorica; infatti, talune risposte fornite potrebbero essere rilette alla luce di un contesto sociale, culturale e anche normativo che da un lato stimola, ma che dall’altro non supporta e non premia la rendicontazione sociale. Invece, contrariamente alle attese, un ruolo non del tutto trascurabile è svolto dalla legitimacy theory con riferimento ai musei che dichiarano di orientarsi alla rendicontazione sociale per migliorare la propria immagine al fine di guadagnare consenso e supporto fra gli stakeholder. In precedenza erano state supposte scarse evidenze di tale corrente teorica in un contesto di organizzazioni senza finalità di lucro perseguenti interessi di pubblica utilità, viceversa talune risposte sembrano suggerire proprio le chiavi interpretative della legitimacy theory Probabilmente, in una situazione connotata da risorse umane e finanziarie insufficienti, il rafforzamento dell’immagine rappresenta un elemento necessario al fine di accrescere la legittimazione soprattutto presso il pubblico, gli operatori culturali nazionali e internazionali, i finanziatori, gli attori economici e non economici del territorio. Infine, dall’analisi dei questionari pervenuti, non emerge alcun elemento a sostegno della assurance theory, poiché nessuna unità segnala, esplicitamente o implicitamente, di effettuare forme di rendicontazione sociale volontaria asseverata per rafforzare la propria credibilità come ente con processi rendicontativi “certificati”. Del resto l’asseverazione della rendicontazione sociale o di missione è un elemento sostanzialmente estraneo alla cultura della realtà indagata. Alla luce dei risultati esposti è necessario aggiungere una ulteriore giustificazione, non sempre adeguatamente trattata dalla letteratura sull’argomento, all’orientamento alla rendicontazione sociale nei musei: la possibilità di adottare questo strumento come meccanismo operativo volto all’apprendimento e crescita interni. Si tratta di un aspetto spesso trascurato ma coerente con i principi propri della letteratura economico-aziendale. Considerando il bilancio sociale – in una interpretazione estesa degli obblighi rendicontativi minimi previsti – un documento da affiancare al bilancio tradizionale ed essendo quest’ultimo uno dei tanti strumenti del controllo direzionale, anche al primo è corretto attribuire la stessa funzione. In definitiva, dai risultati ottenuti sembra che i musei rispondenti adottino – o vogliano adottare in futuro – forme di rendicontazione sociale e di missione per una particolare combinazione delle teorie sopra richiamate, con una maggiore evidenza di alcune di esse (e.g. stakeholder, signaling e legitimacy theory) e con l’aggiunta del bilancio sociale come meccanismo “operativo”. Per altre teorie (e.g. institutional theory) è difficile, sulla base delle risposte ricevute, interpretare il ruolo da esse svolto oppure la loro funzione è sicuramente marginale (e.g. assurance theory). Le argomentazioni esposte soffrono ovviamente di alcuni limiti della ricerca condotta. In primo luogo, come già notato, non è possibile estendere ad un universo ampio ed eterogeneo, qual è quello dei musei italiani, i risultati di un "gruppo di rispondenti" che manifesta evidenti distorsioni sistematiche derivanti dalla sua limitata dimensione imputabile presumibilmente ad una carenza di sensibilità ancora molto presente verso le tematiche oggetto di analisi. A ciò si aggiunga che nell’indagine non è stata specificatamente indagata la qualità della rendicontazione sociale o di missione volontaria, ma soltanto la propensione verso tale strumento. Infine, come qualsiasi ricerca di tipo “survey”, anche questo studio risente di potenziali debolezze intrinseche quali l’incompletezza o la parzialità del questionario predisposto, la propensione individuale a rispondere in maniera sincera ed esaustiva alle domande e l’interpretazione soggettiva dei risultati da parte del team di ricerca. Le osservazioni emerse suggeriscono comunque riflessioni utili per delineare ipotesi di future ricerche e approfondimenti che potranno essere sviluppati a distanza di un ragionevole intervallo di tempo in due direzioni. Da un lato, può essere condotto l’esame - all’interno dei musei che già adottano una qualche forma di rendicontazione sociale o di missione - della relazione esistente fra tale processo e il miglioramento delle proprie performance sociali o istituzionali, anche alla luce della dichiarata funzione di meccanismo operativo per l’apprendimento e crescita interni di questo strumento. Dall’altro, può essere indagato - relativamente ai rapporti fra il museo e i suoi stakeholder - se, a seguito di pressioni esercitate da fonti istituzionali e da organismi di settore italiani e/o stranieri nonché dalla prassi internazionale, si è diffusa l’adozione di forme di rendicontazione sociale, vincendo così le attuali forti resistenze.
2014
9788891707963
I VALORI DEL MUSEO. STRUMENTI E PROSPETTIVE MANAGERIALI
221
252
G. Manetti; B. Sibilio
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